Conte e Salvini, le due spine nel fianco

L’uno a Roma, l’altro a Firenze, ma entrambi rappresentano le “divergenze parallele”: la diversità di posizione nei contrapposti schieramenti di cui fanno parte.

Dalla capitale Giuseppe Conte guida il corteo dei Cinquestelle contro il riarmo, puntando a convertire tutta l’opposizione di centrosinistra, ma in particolare il Pd, che sul tema è diviso.

Scelta non facile per chi è stato presidente del Consiglio della Repubblica italiana, che dell’Europa e delle sue scelte fondamentali non può e non dovrebbe fare a meno. Ora il leader pentastellato attacca il piano di difesa (800 miliardi) approvato dal Consiglio dei 27 capi di Stato e di governo, oltre che dall’Europarlamento, accusando di “economia di guerra” un caposaldo della politica e della strategia dell’Ue.

Anche dall’altra parte della barricata, cioè nella maggioranza, Matteo Salvini prospetta politiche in contrasto col governo di cui è vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti. Aprendo da leader il primo congresso nazionale dell’un tempo Lega Nord, Salvini dà la parola all’imprenditore e facente parte del governo trumpiano, Elon Musk, collegato in video dall’America. Se nell’opposizione si discute su guerra e pace, nel centrodestra si dibatte su come rispondere ai dazi di Trump. E il suo superconsulente Musk, grande invitato, si rifugia nel futuro, dicendo di sperare che un giorno non ci saranno più tasse fra America ed Europa.

Ma pure Salvini, come Conte sull’altro versante, contesta il piano europeo di riarmo, secondo un approccio che agli occhi degli alleati appare populista e pacifista al tempo stesso.

Per questo nel contemporaneo Consiglio nazionale a Roma il leader di Forza Italia e pure lui vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, se la prende con gli “sfascisti e pacifinti” in corteo. Poi critica chi, come Salvini, pensa a trattative individuali con Trump sui dazi (“i trattati prevedono la competenza esclusiva di Bruxelles sulla politica commerciale”). Infine riafferma la posizione europeista e atlantica del governo.

Dunque, Conte e Salvini, le consapevoli spine nel fianco dei loro rispettivi schieramenti. Con prospettive diverse, tuttavia, derivanti dai ruoli.

Se Conte può spingere l’affondo per “creare un’alternativa al governo”, le divergenze di Salvini -specie con Tajani- non possono sfociare in atti governativi o parlamentari che contraddicano la linea della maggioranza. “Lega e governo sono una cosa sola”, lui assicura non per caso.

Ma la linea dell’esecutivo su guerra e dazi poggia pure sugli equilibri della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Da una parte il dovere, sempre ribadito, di sostenere la posizione europea a fianco dell’Ucraina aggredita, cioè per una “pace giusta”. Dall’altra la necessità di far quadrato a Bruxelles contro le tariffe di Trump. Senza però rompere col presidente americano.

Una scelta quasi acrobatica, perché è lui ad aver dichiarato la guerra commerciale all’Ue, e non viceversa. Ed è il “made in Italy” a correre i maggiori rischi nelle esportazioni in America.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova