Se vuoi la pace, prepara la pace. Alla conferenza di Berlino, forse l’ultima iniziativa internazionale in grado di indurre le due parti che si sparano in Libia a deporre subito le armi, va in scena anche la maturità della diplomazia italiana. Non solo perché la Farnesina ha finalmente contribuito, pur con tardiva resipiscenza, a sostenere con forza il vertice che si apre oggi -e al quale la nostra delegazione si presenterà al massimo livello, ossia col presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio-, ma soprattutto per la posta in gioco. Quel che accade fra Tripoli e Bengasi ha un primo e immediato effetto in Europa, cioè in Italia, i vicini, anzi, i dirimpettai nel Mediterraneo. E poi da decenni le nostre storie si incrociano: nessun altro Paese conosce così bene le vicende libiche. Un’esperienza unica da mettere a frutto per tutti.
Roma, dunque, può ora guadagnare il tempo perduto per far valere la sua riconosciuta capacità di mediazione. Specie quando i due nemici fanno di tutto per impedire agli altri (Germania, Nazioni Unite e Italia sono state le più impegnate nell’elaborazione di un piano di concordia appoggiato da Russia, Turchia, Egitto, Francia, Unione africana, Lega araba e altri Stati) di intervenire nella vertenza infinita e insanguinata.
Dialogo difficilissimo: non si sa se Fayez al-Sarraj, il premier legittimo per le Nazioni Unite, e Khalifa Haftar, il generale aggressore che lo contrasta, siederanno allo stesso tavolo. E, alla vigilia dell’incontro, Haftar ha ordinato alla compagnia petrolifera nazionale di bloccare le esportazioni da cinque porti. Con gravi conseguenze non solo per la popolazione libica, come ha riferito “con profonda preoccupazione” una missione Onu sul territorio.
Ma l’aggravarsi della crisi economico-politica in Libia avrebbe effetti molto negativi pure sull’Italia, se si considera che da più di 60 anni il nostro Paese con le sue imprese ha un ruolo decisivo e primario nell’estrazione ed esportazione di petrolio e gas.
In ballo, allora, la ricerca di una tregua e poi il già previsto “negoziato politico con nuove elezioni” (altro momento in cui Roma può dire la sua), per evitare anche il rischio evocato dai minacciosi litiganti: la fuga in massa di libici via mare per scappare dalla follia bellicista.
Ma l’ora dei ricatti è finita. A Berlino il mondo richiede pace e politica per spegnere l’incendio in Libia che può far male anche all’Italia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi