A volte ritornano. È il caso del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), un organo previsto dalla Costituzione che si era pensato di abolire con la riforma-Renzi del 2016, perché considerato superfluo.
Ma bocciando quella riforma costituzionale, gli italiani hanno ridato vita insperata anche all’ente preso a esempio di inutilità e ora, invece, chiamato a un compito tutt’altro che irrilevante: trovare la quadra, ed entro 60 giorni, sulla contrapposta posizione fra governo e opposizioni riguardante il salario minimo.
La richiesta al Cnel, oggi presieduto dall’ex ministro Renato Brunetta, arriva dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che spera così di togliersi le castagne dal fuoco di un autunno che si preannuncia caldo sul fronte sindacale e sociale. Ma la mossa, che in altri tempi sarebbe stata considerata un tentativo di mediazione fra le parti, oggi invece si inserisce in un contesto di polemica che più alta non si può.
Pd e M5S stanno già raccogliendo le firme per sostenere la proposta, comune a tutte le opposizioni fuorché al partito di Matteo Renzi, di introdurre per legge l’obbligo di almeno 9 euro lordi all’ora (circa 7,5 netti) per tutti i lavoratori in Italia. La maggioranza ribatte che il minimo si può riaffermare con la contrattazione collettiva che tutela la grande maggioranza dei dipendenti. Dunque, meglio la legge o la contrattazione?
Lo scontro si concentra proprio sul metodo per difendere dai 3 ai 4 milioni di lavoratori -a seconda delle fonti-, che non godono di un diritto in realtà ritenuto sacrosanto da tutte le forze politiche. Ma allora come si spiega, se sul principio maggioranza e opposizioni concordano, che il salario minimo sia diventato, ciononostante, la battaglia politica di Ferragosto?
Si spiega con l’opposta esigenza dei contendenti. Le sinistre tutte e in parte anche i centristi di Carlo Calenda hanno bisogno di una bandiera di facile presa per contrastare la contestata politica economica del governo.
A loro volta le forze di centrodestra, che già hanno cambiato il reddito di cittadinanza, cioè un altro totem soprattutto per i Cinquestelle, non possono permettersi di darla vinta sul criterio parallelo del salario di base uguale per tutti imposto per legge.
E così un tema che si presta a buone argomentazioni in entrambi i casi – legge oppure contrattazione? –, e che anche in Europa viene affrontato in un modo o nell’altro con prevalenza del salario minimo per legge, ma con molte differenziazioni, finisce per trasformarsi in una corrida ideologica per tutti. Neppure il recente incontro a Palazzo Chigi fra Meloni e Schlein più rispettivi alleati è riuscito ad acquietarla.
Toccherà al resuscitato Cnel e all’incaricato Brunetta provare a prendere il toro per le corna nella speranza -per ora vana- che dalla politica spettacolo si passi a una politica della ragionevolezza. Proprio alla vigilia dell’autunnale legge di bilancio, sulla quale almeno le corride sarebbe meglio non contemplarle.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi