“Fratelli e sorelle, buonasera!”. Se la lingua italiana cercasse un motto ispiratore della sua forza gentile e universale (un po’ come “liberté, égalité, fraternité”, proclama internazionale della storia e della lingua francese), dovrebbe adottare le prime parole pronunciate da Papa Francesco in mondovisione il giorno della sua elezione il 13 marzo 2013. Dal balcone di San Pietro quel saluto semplice di un uomo venuto “quasi dalla fine del mondo”, riassume tutta la modernità che oggi fa dell’antica lingua di Dante una delle cinque, e spesso quattro più studiate nelle scuole e nelle università all’estero. Quelle parole rispecchiano il nuovo corso senza frontiere della nostra lingua, interpretate da un Papa che non è italiano, ma argentino-italiano. E perciò frutto lui stesso, come più di ottanta milioni di cittadini sparsi nei continenti, della felice mescolanza che ha reso l’italiano un canto universale. L’eterno “Volare” di Modugno o “Partirò” di Bocelli, che subito e ovunque si associano alla cultura e al modo di vivere italiani. Quando Francesco si rivolge agli altri, specie nelle occasioni “urbi et orbi”, lo fa in italiano, che è la lingua ufficiale d’uso nella Chiesa di Roma. Settanta Paesi si collegano in tv (ma via internet di più) e oltre un miliardo di persone, credenti oppure no, sentono in lontananza la voce di una lingua familiare e il suono dolce delle vocali alla fine di ogni parola: l’identità dell’italiano. “E’ la lingua più musicale di tutte”, disse il tenore spagnolo José Carreras per spiegare il suo amore professionale. Suo e di tanti artisti d’ogni nazionalità. In questo preciso istante nella metà dei teatri del mondo si stanno rappresentando opere italiane cantate in italiano. Rossini, Verdi e Puccini sono il nostro “buonasera” permanente.
Lingua parlata e cantata oltre ogni frontiera, dunque. Ma anche lingua virtuale: l’ottava più usata di Facebook. Una lingua giovane, il caro e vecchio italiano che quest’anno spegnerà 1.054 candeline a primavera. Per festeggiare quando, nel lontano marzo del 960 d.C., fu “firmato” in Campania il primo e celebre documento (“Sao ko kelle terre…”) in forma volgare italiana.
Lingua di sogni e di giochi, la nostra. Quando una radio di Buenos Aires chiese agli ascoltatori, naturalmente in spagnolo, quale potesse essere il complimento più accattivante per cominciare un corteggiamento, vinse “Buongiorno, principessa!” naturalmente in italiano. Espressione rimasta nell’animo di tanta gente grazie al film di Benigni “La vita è bella” molti anni prima, 1997. Il cinema come la musica: evocazioni d’Italia al di là dei confini.
Nel calcio, cioè nello sport più popolare del pianeta, la quantità di stranieri nelle serie A e B ha contribuito a rendere l’italiano una delle lingue per intendersi anche all’estero fra giocatori sudamericani ed europei, tra africani e asiatici (e nella Formula 1 o nel motociclismo grazie all’epica della Ferrari e della Ducati succede lo stesso).
Fateci caso, tutti i campioni del pallone, di oggi o di ieri, parlano italiano: dall’allenatore portoghese Mourinho al mito di sempre, l’argentino Maradona. Con Thohir presidente dell’Inter, nei club sportivi dell’Indonesia i tifosi inneggiano in italiano alla loro squadra, quando la vedono in campo in piena notte televisiva (per fuso orario).
Sorvolando sul peso della lingua nella moda, che è proporzionale allo stile di eccellenza nelle passerelle di Parigi, Milano, New York, e sul forte contributo nella fisica e nella ricerca aero-spaziale, persino nella cosa più comune di tutte, il cibo, l’italiano ha un risvolto planetario. Bene lo sanno gli imprenditori dell’industria non solo alimentare, costretti a denunciare le falsificazioni del “made in Italy” in America e altrove, difficili da riconoscere proprio perché si presentano in italiano per confondere le idee. E quanti menù ricorrono alla nostra lingua, inseguendola e storpiandola a ogni latitudine. Ma i ristoratori d’ogni dove sanno che anche con un italiano claudicante si attirano clienti.
Fra italiani d’Italia e del mondo, fra stranieri in Italia e nel mondo si calcola che esista un bacino potenziale di 250 milioni di persone che, per storia personale o familiare, per motivi economici o geografici, per amore di conoscenza e del bello, per voglia di viaggiare o di vivere in Italia, sia interessato alla lingua italiana. E’ un patrimonio culturale, popolare e trasversale immenso, che vive per conto suo nell’universo. E’ una rete che non trova un punto di appoggio a Roma: dateglielo e vi solleverà con allegria il mondo. Ma fra i tanti e inutili ministeri, nessun importante “ministero per la lingua italiana” è mai stato neppure immaginato. Nessun coordinamento istituzionale esiste fra quanti -Società Dante Alighieri, Accademia della Crusca, Istituti Italiani di Cultura, le Università per stranieri, i dipartimenti di italianistica-, al tema si dedicano da anni con cognizione di causa. Eppure, una “politica della lingua” è un colossale investimento economico, come sanno i governi di Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania e perfino del piccolo Portogallo. Dai vertici che dal 1991 Madrid promuove ogni anno per far dondolare i ventidue Paesi latino-americani sull’amaca dello spagnolo, all’orgoglio della Francofonia con cui Parigi coccola una cinquantina di Stati nell’orbita francese. Dal rilievo che Londra assegna ai British Council per spingere con signorile discrezione una lingua -l’inglese- che pure si spinge da sé e da sola, alle sistematiche iniziative di Berlino per rilanciare la lingua di Goethe nella Mitteleuropa. Al ponte leggero del portoghese fra Lisbona e Brasilia: “Dalla mia lingua si vede il mare”, diceva uno scrittore innamorato.
Dalla lingua italiana si vede il sole. Eppure, nessun governo ha ancora scoperto l’alba di una conferenza internazionale a Roma per mettere insieme le personalità del mondo e i rappresentanti dei 39 Paesi -dall’Albania all’Uruguay, dalla Svizzera al Brasile, dalla Romania all’Australia-, per i quali l’italiano ha un futuro da raccontare e può costituire una grande opportunità.
La lingua italiana è un tesoro dell’umanità. Valorizzato nel mondo, sperperato solo in Italia. Ma non è mai troppo tardi per guardare fuori dalla finestra e fare la cosa giusta con chi ci vuole bene.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma