Se il razzismo è il risvolto estremo e osceno del pregiudizio, per sradicarlo anche dagli spalti, dove ciclicamente riaffiora, due sono le strade. La prima, quella penale, che deve sempre più affidarsi alla tecnologia per colpire con la forza della legge quanti incitano non allo sport, ma all’odio. Non può essere difficile individuarli nell’era digitale e sulla scia dei nuovi stadi in costruzione che presto cambieranno anche in Italia il rapporto tra tifosi e calciatori, abbattendo tutte le barriere, materiali e metaforiche, che ancora oggi e a differenza di altri importanti campi da gioco in Europa, tengono a distanza gli spettatori dagli undici beniamini che inseguono il pallone per novanta minuti. Perché il calcio non è passione solitaria: è festa condivisa. L’unica festa che dura per tutta la vita. Già nell’infanzia si scelgono i colori della propria squadra ed essi saranno il nostro arcobaleno dell’anima.
Ma, oltre a sanzionare la barbarie ululante, c’è un’altra e ancor più formidabile arma contro i cori inascoltabili: la conoscenza. “Conosco solo una razza, quella umana”, diceva il fisico Albert Einstein, Maestro del nostro tempo. E l’articolo 3 della Costituzione, della quale siamo figli e allievi, ricorda espressamente che tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali “senza distinzioni di razza”. E poi Mario Balotelli, la vittima degli insulti (peraltro ad opera di una ventina di persone, mentre il resto della curva lo applaudiva, secondo gli accertamenti della Procura Figc), non è italiano, ma italianissimo. Il campione è nato a Palermo e cresciuto a Brescia. E ha indossato la maglia -che è sacra, come la patria- della Nazionale. Solo l’ignoranza, che del razzismo è parente stretto, può insinuare il contrario.
La questione è semplice, ma urgente, se si pensa che sono già undici i casi di razzismo contro giocatori stranieri o italiani negli stadi dall’inizio del campionato. Bisogna educare alla conoscenza fin dalle scuole e in famiglia. E guai a consentire che una ventina di provocatori a Verona, che è citta universale, o altrove, possano dare dei tifosi e dell’Italia una falsa e inaccettabile idea di sé.
Insegnanti e società calcistiche, sportivi appassionati e forze dell’ordine, genitori e amici veri: tutti devono impegnarsi a fare la cosa giusta, perché “se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare: l’amore arriva più naturale nel cuore umano che il suo opposto”. Così parlava Nelson Mandela.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi