Proprio non ce la fanno a fare politica senza una bella rissa. Già nella prima Repubblica i governi duravano 9 mesi, perché il tal partito (o una sua corrente) si scontrava con l’alleato di maggioranza. E la coalizione dei litigiosi andava in frantumi tra i capricci.
Ma fa cadere le braccia che oggi, in tempo di pandemia e con un’economia finalmente con segni di ripresa -secondo le valutazioni di Ignazio Visco, cioè del governatore della Banca d’Italia-, centrosinistra e centrodestra si scontrino non già su come investire i fondi europei per la ripresa. Né sul che fare per convincere gli italiani ancora incerti a vaccinarsi. Se le suonano, invece, a proposito del disegno di legge Zan. Sul quale, oltretutto, nessuno dei litiganti contesta il principio cardine, ossia perseguire con maggior rigore della legge chi discrimina o fa violenza ad altri a causa dell’orientamento sessuale. Perciò trovare un accordo sulla formulazione di un testo chiaro e severo, che eviti confusi ideologismi, non è difficile: è doveroso.
Eppure, al Senato c’è chi si barrica dietro al “qui non si cambia niente” (del testo approvato dalla Camera), e chi, all’opposto, rilancia col “qui si cambia tutto”. All’ultima corrida, e che vinca chi urla di più.
Che poi il tutto avvenga all’interno della maggioranza di unità nazionale appesa a Mario Draghi, come del resto lo è il Paese, è solo un dettaglio. Un dettaglio di quanto, a volte, la politica poco conosca le priorità e il buonsenso dei suoi cittadini.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi