Il partito del condono edilizio vince sempre. Ma solo dopo le elezioni. Perché durante le campagne elettorali, compresa l’ultima, ogni leader politico pronuncia il sacro e commovente giuramento: mai più sanatorie per nessuno. Del resto, come dar loro torto in un Paese così bello e così deturpato da un abusivismo plateale, prorompente e provocatorio. Promettono dunque tutti: d’ora in avanti “chi sbaglia, paga”. Ma poi, finita la sceneggiata, ecco che un raptus di sano pragmatismo (o presunto tale) assale quelli che al governo sono chiamati a decidere sul tema. Troppe costruzioni da demolire, troppa gente che non potrebbe andare altrove, troppi soldi da investire per le ruspe: e così il troppo stroppia nel decreto-legge appena convertito al Senato per affrontare il dopo Morandi a Genova. E, già che ci siamo, infilare un aiutino per ricostruire le aree di Ischia danneggiate dal terremoto dell’anno scorso. “Sanare” è il verbo seducente utilizzato all’articolo 25, che, per uscire dal groviglio legislativo ereditato dal passato tra un’altalena di lassismo e rigore, finirà di fatto per aprire le porte all’ennesimo condono. In un luogo, oltretutto, che può vantare non solamente il primato della bellezza, ma anche quello dell’abusivismo: sessantamila abitanti e ventisettemila pratiche di sanatorie. Quasi un isolano su due ha costruito in barba al sole, al mare e soprattutto alla legge.
Ma, paradossalmente, è proprio questa una delle ragioni che sempre animano le migliori intenzioni per “governare il fenomeno”. Bisogna trovare una soluzione per la valanga di pratiche accatastate e per le attese a tempo indeterminato dei cittadini a cui spetta il diritto ad avere una risposta dalle istituzioni. E allora si fa suonare il solito disco rotto: accadrà per l’ultima volta e mai più. “Nessun condono” ribatte Luigi Di Maio alle opposizioni che l’accusano di clamorosa incoerenza rispetto alle belle parole profuse da sempre dal suo Movimento. E un sindaco dell’area interessata prova a ridimensionare la portata del controverso provvedimento, destinato a riguardare -dice- al massimo duemila abitazioni. E comunque a beneficiarne saranno persone terremotate, cioè vittime dell’evento. Ma quel che sfugge anche all’infuocata polemica è che la questione non è se sia giusto o sbagliato dare una mano a chi ha perduto tutto o molto, né se i casi siano numerosi oppure irrilevanti. Il punto è l’esempio alla rovescia che si continua a dare: chi sbaglia, paga il condono.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi