Fin da piccoli i genitori ci insegnano che la distinzione tra il bene e il male contempla anche l’antico comandamento del “non rubare” tra le cose riprovevoli. E poi la scuola, aiutandoci a crescere come donne e uomini, ci accompagna nel percorso educativo dando sostanza alla lezione familiare: oltre che sbagliato, il furto è l’esatto contrario di un valore immenso e pulito, il valore dell’onestà. Un valore legittimo ed etico. La legge “certifica” coi suoi codici quello che abbiamo appreso.
Perciò, quando si scopre che un quarantenne bresciano è stato condannato a una pena più alta del ladro ventenne a cui aveva sparato dalla finestra per impedirgli di rubare soldi dallo sportello di un bancomat, la prima reazione è naturale: ma in quale Paese viviamo? Che giustizia alla rovescia: chi sta dalla parte giusta (evitare un furto) ha addirittura la peggio, “in nome del popolo italiano”, rispetto a chi sta dalla parte sbagliata (il ladro del bancomat).
Ma proprio fra questi “giusti” interrogativi s’impone il confine della legalità. Senza voler minimamente giudicare il caso in questione -perché sono i processi, non i giornali, a ciò deputati-, salta agli occhi una differenza che non si può non vedere: un tentato omicidio (la pena per cui l’uomo, Giuseppe Chiarini, ha patteggiato due anni e otto mesi) è cosa diversa dal reato di cui è stato accusato il romeno Cristian Filimon. E’ il giovanotto che, con altri complici, a notte fonda ha fatto saltare il bancomat con un’esplosione, e che ha patteggiato a sua volta una pena. Un pena inferiore di quattro mesi in confronto a quella dell’uomo svegliato dal botto della banda e che ha agito come ha agito per contrastare l’illegalità, una sera di gennaio dell’anno scorso.
Si sa, la polemica sulla proporzione fra l’azione dei delinquenti e la “giusta reazione” è materia politica incandescente persino nella legittima difesa. Specie nel caso del rapinatore che ti entra in casa, pronto a qualsiasi violenza. Né si può chiedere all’aggredito di leggere nel pensiero dell’aggressore. O di domandargli, per cortesia, se è armato o solo alla ricerca di una criminale, ma pacifica avventura.
E’ solare che il problema esista e sia molto grave, in un sistema dal garantismo unilaterale: tutto per l’imputato, poco per la vittima.
Ma l’impunità dilagante deve farci anche riflettere. Non bisogna voltarsi dall’altra parte, se il delitto “non ci riguarda”. Ed è bene, sempre e subito, chiamare i carabinieri.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi