Se i simboli hanno ancora una forza del destino, il primo turno delle nazioni che vanno a votare per rinnovare la decima legislatura di Strasburgo s’apre all’insegna del paradosso: due dei ventotto Paesi dell’Unione con gli elettori già ai seggi, non vedono l’ora l’uno di abbandonare l’istituzione, l’altro di frequentarla con benevola indifferenza. Gran Bretagna e Olanda, la prima fila di una consultazione che riguarda il futuro di cinquecento milioni di cittadini. Ma i britannici partono in quarta col chiaro intento della secessione da loro stessi certificata (tuttavia non ancora eseguita), con la Brexit. Gli olandesi, invece, che rappresentano una delle sei nazioni, con l’Italia, fondatrici del nucleo all’origine dell’odierna l’Europa politica, ora guidano distratti e senza fretta, candidandosi a ripetere quell’alto astensionismo di cui neppure vanno fieri: freddi e scettici, li lascia Bruxelles.
Eppure, anche a casa loro, esattamente come l’anti-europeista Nigel Farage a Londra, i sovranisti sono considerati favoriti o almeno in ascesa (i primi exit poll, però, li frenano). Dal profondo Nord europeo, all’Est dei populisti in voga, al Sud sempre più infastidito dalla sorda oligarchia di Bruxelles: ovunque volano a vele spiegate quanti contestano l’Europa. Senza però arrivare al drastico “distacco in sospeso” della Brexit, dove il governo di Sua Maestà ha perso ogni credibilità sul da farsi. La premier Theresa May balla al capolinea. Neppure la riconosciuta abilità di scommettitori, che il mondo riconosce agli abitanti di là della Manica, è in grado di indovinare come finirà il pasticciaccio di via Downing al civico 10.
Ma il vento della protesta non può ignorare la realtà dei fatti. I ragazzi d’ogni lingua (lo dicono anche le ricerche, e non solo la parola magica: Erasmus) sono in grande maggioranza per quest’Europa della libertà e della pace, che hanno imparato ad attraversare senza passaporto.
Il dovere di far fronte unico davanti a fenomeni epocali come l’immigrazione e il clima, la necessità di investire per creare lavoro -e non solo di tagliare con parametri astrusi e ottusi-, fanno parte di una coscienza collettiva, cioè europea, che esiste e resiste da molto tempo. Tant’è che i politici più severi, anche italiani, contro l’Unione, prospettano comunque un’altra idea di Europa, non certo la ripetizione del fallimento Brexit sotto gli occhi di tutti: l’addio di chi non riesce, non sa, e forse in buona parte non vuole più andarsene.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi