E’ una polemica surreale. Perché a impugnare la spada del tweet versus lo scudo della nota-stampa, l’una contro l’altra armati di dure parole, sono due istituzioni della stessa barricata: quella della legalità.
Ad aprire le -stavolta- inconsapevoli ostilità, è stato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che di prima mattina festeggia l’arresto di diversi sospetti mafiosi tra Palermo, Bolzano e Torino. Fra i quali -cita espressamente- quindici nigeriani nel capoluogo piemontese.
Non fa in tempo a elogiare l’operazione delle forze di polizia, che Armando Spataro, procuratore capo a Torino, risponde furioso con un comunicato: l’esternazione di Salvini ha messo a rischio proprio l’azione della polizia che era ancora in corso. Una pubblica denuncia, grave e non solo paradossale, se si pensa che è rivolta al ministro dell’Interno, ossia proprio a colui che sarebbe chiamato a sostenere il ruolo della polizia a garanzia della sicurezza di tutti i cittadini.
Altrettanto pesante la controreplica di Salvini, che accusa Spataro di politicizzazione, augurandogli un “futuro serenissimo da pensionato”.
Nel giro di pochi minuti lo scontro diventa un’arena. “Toni sprezzanti verso un servitore dello Stato”, attacca il vicepresidente del Csm, David Ermini, a difesa di Spataro, ed è altra brace nel clima ardente fra toghe e ministro. Ma tra i due litiganti, nessuno può godere.
Perché il punto non è stabilire se il procuratore abbia fatto bene a indignarsi per il tweet di Salvini. Oppure se l’infastidito ministro dell’Interno abbia svelato nient’altro di quanto gli era stato riferito dal capo della polizia un’ora e mezzo prima, come lui si giustifica.
La vicenda rispecchia, invece, un andazzo che purtroppo regna anche fra le istituzioni: l’aver da troppo tempo, ormai, dimenticato che, quando si lavora, la regola del silenzio spesso è quella d’oro.
Una volta i magistrati “parlavano” solo con le sentenze e i ministri comunicavano soprattutto con i disegni di legge: atti e non parole.
Ma l’esasperato protagonismo del nostro tempo, l’eterno tutti contro tutti finisce anche per produrre cortocircuiti incomprensibili. Perché, a ben vedere, Salvini e Spataro avrebbero un’invenzione che si chiama telefono a portata di mano per dirsele quattro, nell’interesse comune delle istituzioni rappresentate, che viene prima di qualsivoglia litigio.
A prescindere da chi abbia ragione, quando magistrati e politici s’attaccano, non è mai un gran bello spettacolo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi