Non c’è niente di più sbagliato che fare sulla stampa il processo che si fa in tribunale. Soprattutto quando c’è di mezzo una denuncia per violenza sessuale, reato tra i più gravi perché provoca un danno permanente, un dolore profondo nella vittima anche dopo che è stato compiuto. Una ferita che ti accompagna per tutta la vita.
Non è un caso se questo tipo di reato richieda particolare competenza e grande delicatezza da parte delle forze di polizia che raccolgono per prime le denunce e dei magistrati poi chiamati a giudicare secondo parametri di leggi e costumi che nel frattempo sono molto cambiati.
La prova anche giuridica che oggi nel nostro Paese si guarda allo stupro con un approccio ben diverso rispetto al lungo e insensibile passato, la offre un concetto definito “vittimizzazione secondaria”.
Significa, in concreto, che è vietato anche per legge accusare la vittima d’essere responsabile del reato che denuncia. Una pratica che nella polemica sui mezzi di comunicazione -ma non, per fortuna, nei dibattimenti in aula-, porta a insinuare un dubbio: e se la donna che denuncia in realtà se l’è cercata? Quasi fosse lei, e non lui, la colpevole.
Ecco perché le polemiche sulle vicende che riguardano figli di Vip (dalla denuncia contro Leonardo Apache La Russa, terzogenito del presidente del Senato, Ignazio, al processo in corso contro Ciro Grillo, erede di Beppe), non dovrebbero ignorare ciò che la legge già prevede per i casi che vedano protagoniste, loro malgrado, tante donne “comuni”, vittime di uomini e situazioni che non finiscono in prima pagina.
La “vittimizzazione secondaria” rappresenta una svolta nella giurisprudenza e nell’approccio della società sul tema: mette sullo stesso piano tutte le denuncianti, a prescindere dal contesto o dai nomi delle persone denunciate per il ripugnante reato ipotizzato.
Ma è nei tribunali che la legge “è uguale per tutti”. Sui giornali e sui social, in tv e nello scontro politico, la pur importante novità introdotta, che serve anche per incoraggiare le donne a denunciare le violenze subite (8 vittime su 10 non lo fanno), prevalgono i preconcetti e gli attaccabrighe su casi che in realtà poco si conoscono: per accertarli si fanno i processi.
Non il pregiudizio delle opposte tifoserie, ma il giudizio dei magistrati porta alla verità dei fatti. Senza mai trasformare la vittima in imputato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi