Era doveroso, ma non era scontato. Ursula von der Leyen ha fatto ciò che una parte dell’opposizione in Italia fatica ancora a capire, anteponendo l’interesse dell’Europa alle pregiudiziali politiche da lei stessa subite.
Anche se il gruppo europeo dei conservatori, e proprio su impulso della nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva votato contro la riconferma di Ursula alla presidenza della Commissione europea, nessuna ripicca: a Raffaele Fitto è stato riconosciuto il ruolo di vicepresidente esecutivo con l’importante delega alla Coesione e alle Riforme. Che non è il principale portafoglio in ambito economico, però è quello destinato a gestire i fondi e l’attuazione del Pnrr insieme col commissario lettone Valdis Dombrovskis. Dunque, la doppiamente potente von der Leyen, in quanto rappresentante del Ppe, partito quasi pigliatutto (ben 14 commissari nominati) e della Germania, che resta la locomotiva dell’Ue, ha riconosciuto all’Italia quel ruolo di peso richiesto dal nostro governo. Non per simpatia, che in politica gira come il vento, né per calcolo -avendo questa scelta, al contrario, provocato l’ostilità dei Verdi e dell’estrema sinistra e il “chi va là” del più responsabile gruppo socialista-, ma perché era ora che il nostro Paese “tornasse protagonista in Europa”, come esultano Giorgia Meloni e l’intero centrodestra. Il che significa, per converso, che da oggi in avanti non sarà più accettato che dalla maggioranza esca neanche uno spiffero di anti-europeismo o di polemica contro Bruxelles. Perché a Bruxelles siederà l’italiano Raffaele Fitto, uno dei sei vice della anche “nostra” Commissione. Fine d’ogni sindrome populista.
Non è irrilevante che, nelle stesse ore in cui Ursula presentava la sua squadra, spiegando che “l’Italia è un Paese molto importante”, e che tale considerazione si doveva “riflettere anche nella scelta”, Mario Draghi illustrasse il suo rapporto sulla concorrenza all’Europarlamento in seduta plenaria. Si può persino intravedere un filo invisibile che Ursula ha delineato con intelligenza tra il dicastero delle Riforme assegnato a Fitto e l’agenda-Draghi tutta tesa a scuotere l’Europa verso la strada del cambiamento strutturale, pena la sua “lenta agonia”.
L’invocato debito comune europeo, gli investimenti, la consapevolezza che l’Unione dei 27 ha un destino verso cui incamminarsi, insomma il programma di Draghi richiesto ed elogiato da Ursula, passerà anche dalla scrivania operativa del neo vicepresidente Fitto. Il quale potrà a sua volta spingere sull’indirizzo proposto. Una sorta di “convergenza parallela” fra italiani che contano per una certa idea dell’Europa. Ipotesi di fronte alla quale appaiono poco influenti le audizioni nell’Europarlamento a cui andranno incontro i commissari, con i già annunciati tentativi di sgambetto di chi, a Roma e a Strasburgo, non accetta la determinazione con cui Ursula e la sua squadra puntano a farsi sentire.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova