Niente è più incisivo di un buon esempio. A darlo, stavolta, è un uomo che ha dedicato la vita allo sport, prima come calciatore, poi come allenatore, la sua attuale occupazione. Sinisa Mihajlovic, il tecnico serbo che ama l’Italia come seconda patria e che ha salvato il Bologna dalla serie B con una straordinaria rimonta, s’è presentato con barba incolta e occhi smarriti -ma lucido-, all’unica conferenza-stampa che mai avrebbe voluto indire. Per dare lui stesso una notizia che mai avrebbe voluto annunciare: ha una leucemia acuta.
Dovrà, perciò, sottoporsi subito a un ciclo di cure con la ragionevole speranza -anzi, con la certezza scolpita dalle parole sue e del medico che l’accompagnava-, di vincere la partita più difficile della carriera.
Ma l’incontro che non t’aspetti, non è stato solo la rivelazione-choc di un uomo che non ha paura della grave malattia da affrontare, né di mostrare in pubblico -lui, cinquantenne con fama da duro-, lacrime e voce incrinata. Aveva raccontato alla moglie e alla squadra che lo aspettava in Alto Adige per il primo ritiro della stagione, che saltava l’appuntamento perché aveva la febbre. Invece era alle prese con l’esame che avrebbe confermato il drammatico verdetto. Poi s’è chiuso in casa due giorni per ripensare al senso della vita e per piangere.
Il messaggio fortissimo che Sinisa ha lanciato nel momento più fragile della sua esistenza è che nessuno, nemmeno lui, robusto e sportivissimo, è invincibile. Ma che perfino il male un tempo impropriamente definito incurabile, può essere sradicato, se accertato in tempo e combattuto con le armi della moderna medicina.
La testimonianza dell’allenatore che si commuove, ma non molla, vale più di cento campagne sulla prevenzione. Perché lui, in realtà, sta bene: è asintomatico. Nulla, dunque, lasciava presagire la patologia che stava covando. Si deve a un controllo casuale, quasi abitudinario per chi vive di sport, se ha scoperto così in anticipo l’insorgenza del male. Prevenire significa avere il tempo a favore e non contro: ecco perché Sinisa ha voluto far conoscere al mondo la sua sofferenza.
Intanto, continuerà ad allenare il Bologna nei modi consentiti. Ha chiesto però di essere, d’ora in poi, lasciato in pace. Rispettare la riservatezza è l’altra lezione -nell’epoca dei selfie e del narcisismo di massa via web- che proviene da questa pubblica e pudica confessione. La forza della verità è la prima e sobria medicina contro ogni male.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi