Da Cutro, luogo e simbolo dell’ultima tragedia della migrazione avvenuta il 26 febbraio in Calabria (naufragio di un’imbarcazione partita dalla Turchia: 72 morti), il governo ha approvato il decreto-legge con la sua nuova strategia sul tema. La riunione straordinaria e inusuale del Consiglio dei ministri non lontana dalla spiaggia del dolore, ha votato la linea dura contro gli scafisti, che ora rischieranno fino a trent’anni di carcere anche se navigheranno in acque non sottoposte alla giurisdizione di altri Stati, ma diretti in Italia.
Tale severità contro “la tratta degli schiavi” -come l’ha definita la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni-, sarà compensata dall’apertura ai flussi regolari e ripotenziati, anche con quote aggiuntive riservate ai cittadini delle nazioni che collaboreranno col nostro Paese.
Dunque, un’Italia implacabile con i trafficanti di vite e di morte, ma comprensiva e pronta a gestire il numero prestabilito di arrivi di chi rispetterà la legge italiana e le convenzioni internazionali.
Se il rigore anche penale introdotto era scontato, così come le annunciate proteste di chi ha lanciato peluche all’arrivo dei ministri per evocare i bambini morti nel naufragio, la novità sta fuori dal decreto-legge ed è politica: la ricerca di soluzioni internazionali sul Mediterraneo.
Già nel prossimo Consiglio europeo Roma alzerà la voce sull’onda delle recenti rassicurazioni della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha promesso interventi e risorse. Ma vanno coinvolti anche l’Onu e tutti i Paesi che si affacciano sul mare.
Fra guerre e terremoti, tra fame nel mondo, repressioni e persecuzioni è impensabile immaginare di poter gestire da soli la disperazione di chi scappa o di regolare l’accoglienza con la chiusura dei porti. Occorre un approccio almeno europeo, e forse neppure questo è ormai sufficiente.
Persino il dramma di Cutro, per il quale non si spegne la polemica fra il governo che assicura d’aver fatto il proprio dovere per salvare i naufraghi e l’opposizione che denuncia errori gravi nella catena del soccorso, non può ridursi a un botta e risposta né al rimpallo delle responsabilità.
A monte deve esserci la più importante delle distinzioni nella politica italiano-internazionale sulle migrazioni: gli scafisti e la povera gente che essi trasportano con l’inganno. Criminali da “traghettare” in galera e innocenti da salvare a qualunque costo e su qualunque costa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi