Non l’hanno salvato i baffi né la barba. Neppure le sue improvvisate e improvvide parole in portoghese rivolte ai poliziotti che gli chiedevano i documenti. Cesare Battisti, fuggitivo degli anni di piombo, è stato catturato da una squadra dell’Interpol a Santa Cruz, in Bolivia, e presto sarà in Italia per scontare condanne definitive dopo trentasette anni di allegra e protetta latitanza tra Francia e Brasile.
Un caso che per la giustizia italiana era di esclusiva natura penale, è stato incredibilmente trasformato in politico da parte di quella sinistra al caviale che per l’ex terrorista ha fatto le barricate intellettuali nei salotti parigini, latinoamericani e persino italiani per difenderlo. Con l’ex presidente brasiliano Lula -nel frattempo in galera, condannato per corruzione-, che respingeva la richiesta di estradizione presentata da Roma e concedeva “asilo” al fuggiasco. Fu l’ultima barriera ideologica, quella: il Brasile è passato dal presidente più a sinistra della sua storia a quello più a destra, l’appena insediatosi Bolsonaro. Felice, all’opposto, d’aver contributo a consegnare il “piccolo regalo” che aveva promesso all’Italia, la terra dei suoi genitori.
Finisce, dunque, una vicenda dolorosa per i familiari delle vittime dei Proletari armati per il comunismo, tra i quali familiari il povero Alberto Torregiani, figlio di un gioielliere ucciso a Milano e a sua volta rimasto, quindicenne, sulla sedia a rotelle, che dice: “Mio padre e le altre vittime ora riposino in pace”.
Finisce, inoltre, il vergognoso equivoco che in tutti questi anni s’era alimentato, e che aveva portato le autorità brasiliane, e prima francesi (la cosiddetta dottrina Mitterrand), a diffidare della nostra giustizia che reclamava quel condannato per omicidi e rapine, detenuto e poi evaso, quasi che la Repubblica italiana non fosse uno Stato di diritto.
Come ha ricordato il premier, Giuseppe Conte, il Battisti arrestato con un impegno istituzionale incessante e perciò degno di lode (per una volta maggioranza e opposizioni concordano), non era certo inseguito “a causa delle sue idee politiche, ma per i quattro delitti commessi e per i vari reati connessi alla lotta armata e al terrorismo”. E il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sottolinea “i gravi crimini di cui si è macchiato” e chiede che anche gli altri latitanti nel mondo, una cinquantina, siano riportati in patria e in galera.
Cesare Battisti, l’impunità è finita, quarant’anni dopo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi