Josef Lang era un boia previdente. Quando si mise in viaggio da Vienna verso Trento col compito di eseguire la sentenza al Castello del Buonconsiglio, prima ancora che il processo contro Cesare Battisti fosse finito, sistemò due corde in valigia. E poiché al momento d’adempiere il brutale compito la prima si ruppe, ecco che Lang poté portare a termine la missione con la seconda. Otto minuti d’agonia per strangolare -non già per impiccare, come si è soliti dire-, forse il più grande sognatore che l’Italia abbia perduto cent’anni fa, il 12 luglio 1916, in piena e tragica prima guerra mondiale. Cesare Battisti moriva gridando “viva Trento italiana, viva l’Italia!”, e il suo aguzzino coi baffi e cappello a bombetta posava, sorridente, con altri militari austriaci sopra la testa ormai reclinata del soldato appena strangolato. “Non solo abbiamo impiccato, ma ci siamo anche messi in posa”, annoterà, caustico, lo scrittore austriaco Karl Kraus, comprendendo che quell’orribile fine fotografata e diffusa nel mondo per propaganda, in realtà decretava il suicidio dell’Austria felix e del suo “imperator degli impiccati”, come fin dal Risorgimento i patrioti chiamavano Franz Joseph, il Kaiser che regnò sull’Austria-Ungheria dal 1848 al 1916.
Cesare Battisti, l’eroe dimenticato. Dimenticato, cent’anni dopo, e anche offeso con provocazioni: come quella di chi, alla vigilia delle cerimonie degli Alpini alla Baita di Costa Violina, nel Trentino, per ricordare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, ha fatto sparire la bandiera italiana sostituendola con l’austriaca. Dimenticato, Cesare Battisti, soprattutto dagli amministratori “autonomisti” della sua terra trentina. Che pure devono la ricchezza di cui godono i residenti proprio all’appartenenza a quell’Italia per cui Battisti sacrificò la vita. “Caro fratello, mi hanno condannato a morte”, detterà il suo addio a uno scriba qualsiasi, perché al termine del processo-farsa per alto tradimento all’imputato negano pure il diritto a scrivere l’ultima lettera. “La sentenza sarà eseguita subito. Mando a te il saluto estremo, che non posso indirizzare alla mia famiglia. Portalo tu, quando potrai, alla mia Ernesta, che fu per me una santa. Ai miei dolcissimi figli, Gigino, Livietta e Camillo, al nonno e alle zie, allo zio e alle mie sorelle, e alle loro famiglie. Io vado incontro alla mia sorte con animo sereno e tranquillo”. Al linciaggio degli affetti s’accompagna l’esibizione di un Battisti incatenato come un trofeo per le vie di Trento, che nel 1916 non era stata ancora liberata dalla dominazione austriaca. “Hund!”, cane, gli urlano in tedesco mentre sfila, “vigliacco”, “disertore”. Lui chiede dell’acqua da bere, gliela danno sporca. Chiede d’essere fucilato come si deve al soldato italiano catturato nella notte fra il 9 e 10 luglio sul Monte Corno di Vallarsa (oggi “Monte Corno Battisti”), anziché d’essere strangolato come un miserabile. Chiede di poter indossare la divisa con la quale aveva combattuto per oltre un anno. Chiede di radersi, di lavarsi. Gli negano tutto e lo vestono con abiti larghi per fargli fare la figura del pagliaccio, mentre la vittima cammina verso il patibolo.
Quest’uomo, che scelse di arruolarsi con gli alpini a quarant’anni -un anno prima della morte-, per la libertà e l’unità d’Italia, fece della bellezza morale il tratto di tutta la sua vita. Socialista e patriota, quindi schierato dalla parte dei sofferenti e per la nazione, Cesare Battisti fu giornalista e politico. Dedicò ottanta comizi in giro per la Penisola perorando la causa dell’interventismo nella Grande Guerra per liberare il Trentino dalla depressione economica e dalle ingiustizie di un malgoverno straniero, com’era l’austriaco, e per unire l’Italia, definendo “formidabile” la prospettiva del confine al Brennero.
Diresse “L’avvenire dei lavoratori”, “Tridentum”, “Il Popolo”, “Vita trentina”, studiò a Graz, a Vienna e a Firenze, dove si laureò in geografia. Importanti furono le sue cartine per convincere gli irredentisti alla mobilitazione, così come l’attività di deputato del Trentino prima a Vienna (1911) poi alla Dieta di Innsbruck nel 1914. Per questo l’accusa austriaca del tradimento e la feroce condanna.
Ma Battisti fu il contrario del traditore, perché sempre e ovunque, perfino durante il processo-farsa, rivendicò apertamente la sua italianità. Ammettendo con onore “di avere combattuto contro l’Austria per l’indipendenza dei territori italiani”. Poteva scappare, il troppo celebre nemico, ma si lasciò catturare, la notte sul Monte Corno di Vallarsa, pur sapendo il destino che l’attendeva.
Morire a testa alta fu il suo ultimo atto d’amore per l’Italia.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma