La Corte Costituzionale sbarra la strada a qualsiasi tentativo di cancellare la toponomastica italiana in Alto Adige. Lo fa con una sentenza appena depositata (la 210, redattore Franco Modugno), in cui dà un colpo definitivo a tutto lo sforzo con cui la Provincia autonoma di Bolzano a guida Svp sperava di sradicare cent’anni di storia linguistica e culturale italiana dalla sovrana Repubblica.
La Corte prende spunto e dichiara incostituzionale non già la legge altoatesina tuttora al suo esame (da sei anni!), ma quella con cui la Regione Trentino-Alto Adige aveva istituito, un anno fa, un nuovo Comune denominato in quasi solo ladino “Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan”.
Non si può e non si fa, sentenzia il massimo organo di garanzia, stabilendo che tale nuovo municipio dovrà, invece, chiamarsi “San Giovanni di Fassa-Sèn Jan”. Perché l’italiano, scrive, è “l’unica lingua ufficiale del sistema costituzionale” e ha un ruolo di “primazia”.
In realtà, la Corte sembra parlare a nuora, la Regione, perché suocera, la Provincia di Bolzano, intenda. Per la prima volta i giudici danno un’interpretazione autentica dei pur chiari articoli dello statuto di autonomia con l’obbligo della toponomastica bilingue italiano-tedesca.
Spiega la Corte: “L’incrocio dei due valori costituzionali -primazia della lingua italiana e tutela delle lingue minoritarie-, si pone con particolare accento nell’ambito della toponomastica”. Poi ammonisce: “Lo statuto speciale reca altresì disposizioni in tema di toponomastica le quali, dettando una disciplina che è profondamente influenzata dalle vicende storiche che hanno interessato la Regione nel corso della prima metà del secolo scorso, non apportano, tuttavia, alcuna deroga all’ufficialità della lingua italiana -la quale, dunque, dev’essere necessariamente adoperata anche in tale ambito-, ma si limitano a imporre, nei vari casi, l’utilizzo di denominazioni anche in lingua tedesca, ladina, mochena o cimbra”.
Dunque, l’obbligo dell’italiano è assoluto e inderogabile. Altro che elucubrazioni politiche su questo o quel toponimo da sopprimere. Non basta. Sono le dizioni in tedesco e ladino che si aggiungono (“anche in lingua tedesca”, precisano lo statuto e ora la Corte Costituzionale) alle insostituibili e secolari italiane. Impossibile il monolinguismo tedesco.
Continuano i giudici: “Prescrivendo la compresenza della lingua italiana e, a volta a volta, delle lingue minoritarie, viene apprestata una tutela alle minoranze linguistiche e al loro patrimonio culturale in tema di toponomastica, senza tuttavia far venir meno, neppure in tale ambito, la primazia della lingua ufficiale della Repubblica, espressamente riconosciuta dall’articolo 99 dello statuto speciale”.
Citando anche la recente e storica sentenza della Corte sul ruolo dell’italiano (la 42 del 2017), la Consulta riafferma: “Il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, ma è decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé”.
C’è un giudice anche a Roma, e non solo, come suol dirsi, a Berlino.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma