Che la frase sia stata molto infelice, l’ha già capito lo stesso interessato che l’ha improvvidamente pronunciata e che s’è pubblicamente scusato. Ma la mozione di sfiducia che le opposizioni hanno ora presentato contro Giuliano Poletti, il ministro del Lavoro che a proposito dei centomila ragazzi italiani costretti a cercare all’estero ciò che non trovano in patria aveva detto di conoscere gente che è “bene che sia andata via”, e che l’Italia non soffrirà certo a “non averla più tra i piedi”, può diventare un’occasione importante per tutti: come affrontare con serietà in Parlamento un tema che non si può liquidare a suon di battute che non fanno ridere, né di scontri che nulla cambiano. Dovrebbero, invece, governo e opposizioni domandarsi come impedire che la “meglio gioventù” sia indotta e emigrare per farsi valere. E come invogliarla a tornare a casa. Paradossalmente, bisognerebbe obbligarli tutti, ragazze e ragazzi, all’Erasmus, la vera “naja” per le generazioni del nostro tempo. E poi offrire a tutte queste “reclute” dello studio, della ricerca e del lavoro la libertà di rientrare, sapendo che qui potranno realizzare i loro sogni. Qui potranno mettere a frutto la straordinaria formazione italiana ricevuta in tanti anni di sacrifici. Accade, purtroppo, il contrario: i giovani se ne vanno volontariamente, e non perché “richiamati” dall’obbligo morale di una “leva” culturale e strategica all’estero da parte di uno Stato capace di guardare lontano. E sempre più spesso quei giovani restano liberamente altrove. Causando, così, un danno al Paese che ha investito nella loro crescita scolastica e sociale. Alle famiglie e alla comunità che perdono gli affetti e il valore di quelle persone. Alla classe dirigente di domani che s’impoverisce. A se stessi, perché i cervelli che fuggono non sono entusiasti di abbandonare la loro terra.
E’ un problema sempre più diffuso: chi non conosce una famiglia con un figlio scappato via, in mancanza di lavoro e di futuro? Anche se non sembra, questo, il problema del ministro Poletti, il cui figlio ormai grandicello -accusa l’opposizione- ha un’attività lavorativa che può godere di contributi pubblici nel tranquillo Belpaese.
Ma l’addio all’Italia di così tanti giovani è un’emergenza. Ce lo ricordano, con dolore, anche le tragedie della trentunenne abruzzese Fabrizia Di Lorenzo e della veneziana Valeria Solesin, che avevano scelto l’una Berlino e l’altra Parigi per farsi valere da italiane.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi