Quando la magistratura interviene per togliere le castagne dal fuoco della politica -il che accade sovente-, è troppo facile accusare i giudici di politicizzazione, come fanno, a turno e a seconda delle circostanze, i garantisti della maggioranza o dell’opposizione. Di solito, anzi, di norma le toghe prendono il fischietto dell’arbitro quando i partiti rinunciano a giocare la partita per la quale sono stati convocati in campo, cioè eletti in Parlamento, e buttano via il pallone in tribuna per indifferenza o incompetenza: tanto ci penserà il potere giudiziario a sbloccare il risultato di fronte al quale il potere politico si è arreso.
Esemplare dell’anomalia di questo cortocircuito istituzionale è la vicenda dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per il quale il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere richiesta, appunto, dalla magistratura per il caso “nave Gregoretti”. L’accusa è di sequestro di persona aggravato, perché per più di tre giorni l’allora ministro (luglio 2019) impedì lo sbarco di 131 persone salvate nel Mediterraneo da una nave della Marina militare, oltretutto, italiana.
Non occorre ricordare che gli stessi magistrati danno interpretazioni opposte sulla vicenda. Gli atti e la parola ora passano al procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, che a suo tempo e a differenza del richiedente tribunale dei ministri, non aveva ravvisato alcun reato e aveva richiesto l’archiviazione. Né vale la pena sottolineare la contrapposizione, come da copione guelfi/ghibellini, fra chi contesta Salvini su tutto, e perciò anche sulla Gregoretti, e chi lo difende su tutto e proprio sull’onda e sulle onde della Gregoretti.
Ma il punto non è che sull’immigrazione possano scontrarsi due linee diverse, bensì che toccherebbe all’Europa, prima ancora che all’Italia lasciata sola, stabilire una rotta e farla da tutti rispettare. Certo è che la scelta se far prevalere la compassione o il rigore in un’armoniosa strategia legislativa e governativa di controllo delle migrazioni che dovrebbe prevederli entrambi, non può deciderla una Corte: è una tipica e sovrana prerogativa di chi fa politica a Roma o a Bruxelles.
Tuttavia, se i legislatori sventolano bandiera bianca -è questa, non l’azzurra, la bandiera dell’Europa-, se nei Parlamenti la migrazione diventa solo una sfida ideologica e strumentale tra chi non vuol vedere il problema e chi lo ingigantisce, alla fine anche la Gregoretti finisce sul banco degli imputati. Anziché nel porto, che è la sua unica casa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi