La prima seduta della Camera dei deputati non si tenne a Roma, come si sa, ma a Torino: il 18 febbraio 1861. Quattro anni dopo la capitale d’Italia sarà trasferita a Firenze, e la Camera si riunirà a Palazzo Vecchio. Invece pochi sanno che dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, Mussolini, che era tornato a capo della Repubblica sociale italiana, decise di spostare a Venezia, nel Palazzo Ducale, l’appena sciolta Camera dei fasci e delle corporazioni. Ma quella Camera non sarà mai convocata. E, di nuovo, il 25 settembre 1945 con la Consulta nazionale convocata dal governo-Bonomi dopo la Liberazione, la Camera ricomincerà i propri lavori a Montecitorio: il Parlamento rinasceva prima ancora dell’avvento della Repubblica.
Quanti percorsi e quante sorprese alla mostra promossa dalla Fondazione della Camera per i 150 anni dell’unità d’Italia. E che lezione: il tempo dell’anti-politica, che è il nostro tempo, sembrava aver tutto confuso e molto dimenticato. Se, però, si va alla ricerca di quello e di quelli che hanno fatto grande l’istituzione parlamentare, se per un momento si placa l’indignazione che cova nel nostro animo per i privilegi e l’inconcludenza della classe politica di oggi (ma anche di ieri), allora si scoprirà anche la realtà di una politica viva e “onorevole”, di gente che credeva in quello che diceva e faceva.
E’ un racconto, un lungo e sobrio racconto che si avvale di documenti e di filmati, ma anche di oggetti mai prima esposti. Come la camicia insanguinata che indossava Giovanni Amendola nel 1925 quando fu aggredito dai fascisti, o il ventaglio regalato alla prima presidente donna della Camera, Nilde Iotti, nel 1979. Come il trono, spoglio, per la verità, sul quale sedeva il re in occasione del discorso della Corona, o la possente targa in marmo per commemorare l’Impero che Mussolini fece collocare nell’aula di Montecitorio nel 1936. O l’impianto di votazione attualmente usato dai deputati, e che il visitatore può provare “per vedere l’effetto che fa”. E’ un viaggio tra memoria e presente, accompagnato da illustrazioni originali e scritte didascaliche: si vede e si sente che l’intento dei promotori, a cominciare dal direttore Alessandro Massai, è stato semplicemente quello di narrare senza retorica e senza ideologie. Centocinquant’anni di storia ininterrotta e filata, di monarchia e di Repubblica, di dittatura e di democrazia, di un’istituzione parlamentare esaltante ma anche ferita: gli anni del terrorismo, le stragi di mafia, la corruzione di Tangentopoli, tutto è ricordato e spesso fotografato.
E poi ci sono le storie delle persone, le storie dei deputati-leader: De Gasperi e Togliatti, Moro e Craxi, Malagodi e La Malfa, Almirante e Berlinguer, più i sette presidenti della Camera che sono diventati presidenti della Repubblica (undici in tutto). Con piglio più da cronisti che da politici, un tabellone fa vedere perfino il banco dove ognuno di loro si sedeva nell’aula della Camera.
Interessanti le riflessioni sul sistema di voto. Si torna, così, a ricordare che un tempo, e non molto tempo fa, non votavano né le donne né i diciottenni né gli italiani all’estero. A proposito: nel mondo il primo voto alle donne fu concesso in Nuova Zelanda nel 1893. Altra curiosità: in Italia all’epoca del plebiscito del 1929, le schede avevano colori diversi. Chi votava “sì” al fascismo lo faceva con una scheda tricolore, mentre quei pochi che si opposero col “no” dovettero farlo ritirando una scheda grigia.
Sì, la democrazia è anche forma, e la forza dell’istituzione parlamentare è di aprirsi sempre, di includere, di arrivare a coinvolgere perfino i connazionali lontani dalla patria.
Suggestive sono le parole del filmato che chiude la mostra. Si susseguono eventi e personaggi, il primo della serie è Cavour, l’ultimo Giorgio Napolitano. Scrive Cavour in una lettera: “La via parlamentare è più lunga. Ma più sicura”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi