A volte il referendum ha cambiato l’Italia, a volte di lui s’è abusato. Sempre ha costretto il Parlamento a modificare le leggi, ma spesso è stato tradito. Comunque ha unito e diviso l’opinione pubblica in modo trasversale, sia nell’epoca in cui prevalevano i “no” all’abolizione delle leggi -soprattutto all’inizio della sua istituzione-, sia nell’era dei “sì” o delle astensioni. Quanta storia può raccontare il referendum abrogativo che oggi, alla giovane età di quarantadue anni (primo compleanno il 12 e 13 maggio 1974 sul divorzio), potrebbe andare in pensione. La riforma costituzionale che sarà a sua volta sottoposta a un referendum confermativo in autunno, ha infatti modificato le attuali regole, alzando il numero delle firme richieste per promuoverlo e rivedendo i criteri per la validità del quorum. Se gli italiani approveranno la nuova Costituzione, sarà anche l’addio al referendum così come l’abbiamo finora conosciuto. E arriverà la novità del referendum non solo abrogativo, ma anche propositivo.
Eppure, la Repubblica nata proprio sull’onda di un altro referendum che il 2 giugno 1946 archiviò per sempre l’istituzione della monarchia, ci mise ventidue anni e cinque legislature per dare corso a quanto era ed è previsto all’articolo 75 della nostra Carta: il referendum popolare.
Ma dal giorno del pionieristico quesito sul divorzio che mobilitò ben l’87,7 del popolo sovrano, i cittadini ne hanno viste di tutti i colori. Dai referendum sulle grandi questioni come l’aborto, la scala mobile o il nucleare alle consultazioni di dettaglio come i pesticidi o la separazione delle carriere dei magistrati. Dai quesiti sulla giustizia giusta a quello sulle tv, passando per i referendum elettorali che, pur abrogativi, hanno di fatto introdotto il principio maggioritario. E poi le consultazioni per abolire il finanziamento pubblico ai partiti, ben due in tempi diversi, ma il cui esito fu ignorato dal ceto politico.
La lunga marcia dei cinquantatré referendum ha dimostrato quanto può essere potente e impotente questo strumento di democrazia diretta. Ha mostrato anche quanto saliva la febbre degli italiani, che talvolta si pronunciavano in un modo o nell’altro soprattutto per “farsi sentire” dal governo e dal Parlamento. E poi ha dato fama a diversi dei suoi artefici, dai radicali a Mariotto Segni.
Con alti e bassi, con i suoi scontri epici e i suoi quesiti spesso indecifrabili, il referendum è ormai autobiografia degli italiani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi