E’ una scoperta per caso, avvenuta grazie all’attenzione molto particolare che l’Inps ha riservato alla vicenda. Ma è una scoperta che grida allo scandalo: tre deputati avrebbero richiesto e percepito il bonus di 600 euro destinato agli autonomi e alle partite Iva in piena tempesta da coronavirus. Un importo modesto, eppure studiato dal governo per dare una mano ai più disagiati.
Tra i quali non si può di sicuro annoverare la categoria degli eletti in Parlamento, che porta a casa circa 13 mila euro al mese (ma con indennità varie e voci aggiuntive si può arrivare a 18 mila). Senza, oltretutto, incorrere nel rischio delle perdite economiche subite, invece, da milioni di italiani per colpa della crisi. Non solo un compenso più che onorevole, dunque, ma assicurato ai nostri rappresentanti anche nei mesi durissimi per gran parte dei cittadini.
In attesa di conoscere i tre nomi (ma le domande arrivate all’Inps sarebbero di cinque deputati), tale comportamento incommentabile viene attribuito a due leghisti e a un pentastellato. Ma, per una volta, non c’è divisione politica nelle reazioni indignate dell’intero arco parlamentare. Lega e M5S compresi e con parole pesanti.
Da più parti si esigono le dimissioni degli sconosciuti. Ai quali s’aggiungerebbero duemila amministratori locali, anch’essi beneficiari dell’elargizione di Stato. Che prevedeva, ricordiamolo, 600 euro a marzo, saliti a 1.000 in aprile e con un tetto poi introdotto per maggio.
Ma anche in piena bufera, come quella che si è abbattuta contro i tre deputati, è bene non perdere mai la bussola della verità dei fatti.
Questa vergogna è stata resa possibile da un decreto del governo fatto male e senza distinzioni di necessità: solo in un secondo tempo sono stati imposti limiti per poter ricorrere ai bonus.
In secondo luogo, è imparagonabile l’ingordigia di chi, parlamentare, pretende anche le briciole, pur godendo di una ricca torta, in confronto alle esigenze di consiglieri comunali o sindaci di piccoli paesi dalle indennità irrisorie che hanno fatto identica e altrettanto regolare domanda all’Inps: solo una cortina fumogena di demagogia può mettere sullo stesso piano situazioni tanto diverse.
Infine, il prossimo referendum (20 settembre) sul taglio dei legislatori. L’esempio indifendibile di questa vicenda, pur da tutto il Parlamento esecrato con forza, rischia di diventare fuoco sotto la cenere.
Pubblicato su L’Arena di Verona, I Giornale di Vicenza e Bresciaoggi