Non è una sorpresa, anche se forse non c’era bisogno di annunciarlo con tanto anticipo. Certo è che il prossimo e nono rialzo consecutivo dei tassi di interesse previsto a luglio da parte della Bce -come da poco comunicato dalla sua presidente, Christine Lagarde-, provoca le reazioni immediate del nostro governo.
“Così rischiamo la recessione”, protestano quasi all’unisono i due vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, sottolineando che l’aumento del costo del denaro metterà in difficoltà imprese e famiglie. E poi l’inflazione europea che la Bce intende combattere, attribuendo alle aziende europee la principale responsabilità nell’averla provocata, è diversa da quella statunitense, perché la nostra è frutto del costo delle materie prime causato dalla guerra.
L’obbiettivo della Lagarde è di far tornare l’inflazione al 2 per cento. “Il nostro lavoro non è finito”, ha spiegato con ciò, però, riconoscendo che le misure finora adottate non hanno prodotto l’impatto sperato.
Ma, nell’attesa di vedere se anche in autunno si assisterà a un ulteriore e ancor più insidioso rialzo da parte della Bce, i già prevedibili effetti di quanto annunciato per luglio non coincidono coi “tempi lunghi” della strategia perseguita, bensì si faranno sentire subito. Per esempio con l’inevitabile aumento dei mutui a tasso variabile. Né le scelte dell’istituto di Francoforte sembrano aver finora stimolato la crescita.
Lo stesso governatore uscente della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, commentando di recente gli indirizzi della Bce, raccomandava di prestare sempre attenzione “ai modi e ai tempi” per battere l’inflazione. “Adelante con juicio”, avanti con giudizio, suggeriva Visco, ora a fine mandato e destinato a essere sostituito da Fabio Panetta: proprio ieri il Consiglio dei ministri ha avvito l’iter per la sua nomina.
Banca d’Italia e Bce, governo e Ue: tutto si tiene nella politica economica sempre più in comune. E poco consola la riflessione che, se avessimo ancora Mario Draghi alla guida della Bce o del governo, molto probabilmente la strategia monetaria sarebbe stata ben diversa da quella di Christine Lagarde o più incisiva la capacità dell’Italia di farsi sentire con le istituzioni europee. Neppure le polemiche sul Mes, il pur controverso Meccanismo europeo di stabilità, aiutano il nostro Paese ad alzare la voce per farsi valere.
Riscoprire la dimensione europea anche in economia, com’è stato fatto con coerente efficacia dai governi Draghi/Meloni nel caso della guerra in Ucraina, è un primario interesse nazionale.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi