L’arrivo del disegno di legge sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, che il ministro per le Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, annuncia “entro settembre”, è un interessante indicatore anche per l’autonomia differenziata nelle mani del ministro Roberto Calderoli. Perché rivela almeno due cose: che il governo va avanti nell’intento di concedere alle Regioni che lo richiedano competenze legislative fino a 23 materie importanti, dato che in contemporanea sarà rafforzato pure il potere centrale di indirizzo e coordinamento con un primo ministro eletto dagli italiani, e perciò più forte e non più ostaggio dei giochi di Palazzo. Dunque, la maggioranza ha “confermato il patto”, come Calderoli osserva.
Tuttavia, nello stesso tempo il capo dell’esecutivo eletto direttamente rappresenta un compromesso sulla strada del presidenzialismo invocato da Forza Italia e soprattutto da Fratelli d’Italia, cioè un’attenuazione delle proprie pretese per venire incontro a una parte dell’opposizione, quella di Matteo Renzi -e fino a ieri pure di Carlo Calenda-, contraria a toccare il ruolo del presidente della Repubblica votato dal Parlamento. Il premier eletto, che non esiste in nessun Paese del mondo, è un tentativo di ampliare il consenso al di là delle forze di governo.
Il segnale politico all’interno della maggioranza è chiaro: se io Fdi rinuncio al mio mito presidenzialista pur di condividere la riforma con gli avversari che ci stanno, anche tu Lega dovrai rinunciare a qualcosa sul tuo ideale di autonomia differenziata. Che vede sulle barricate l’intera opposizione.
E’ l’economia a fornire lo spunto della sfida: in tempi di tagli della spesa e di una legge di bilancio che si preannuncia di lacrime e sangue (i miracoli evocati in campagna elettorale, tipo tassa piatta e aumento delle pensioni si sono evaporati), come si pagheranno i Lep, cioè i livelli essenziali di prestazioni da assicurare in tutta Italia proprio per impedire che l’autonomia diventi privilegio per pochi, anziché un’opportunità per tutti?
La Lega per prima sa bene che, se i conti non tornano, anche le riforme si bloccano, posto che il ministro dell’Economia si chiama Giancarlo Giorgetti. Il quale ha già detto che “sarà una manovra difficile” e che “andranno fatte delle rinunce”, senza però specificare quali.
Per la maggioranza l’ostacolo economico sull’autonomia è più insidioso, perché concreto, di quello politico posto dall’opposizione. Qui le strumentalizzazioni o le contrapposizioni (checché ne dicano, Fdi e Forza Italia da una parte, Lega dall’altra hanno idee molto diverse sull’autonomia), non c’entrano. C’entrano i numeri nudi e crudi: i fondi ci sono o non ci sono? E da dove si prelevano? E quanti ne occorreranno?
Le riforme senza soldi restano sulla carta: belle e impossibili.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi