Un Re, un Papa e un Patriota. Soltanto tre volte il Parlamento, che concede allo stesso presidente della Repubblica italiana la sola possibilità di parlare al momento del suo insediamento, sono stati accolti e ascoltati capi di Stato stranieri.
Ma, a differenze degli applausi per Juan Carlos nel 1998 e per Karol Wojtyla in un indimenticabile intervento del 2002, stavolta l’ovazione dei deputati e senatori in piedi alla Camera dopo i 12 minuti in video-conferenza di Volodymyr Zelensky erano carichi di una commozione drammatica: che si può fare, ancora e di più, per aiutare quest’uomo scaraventato nella Storia dalla guerra di Putin e dal coraggio suo e del suo popolo nel resistergli per amor di patria e di libertà? Cosa deve inventarsi l’Occidente, oltre alle sanzioni e al sostegno economico e militare all’Ucraina che si difende, per indurre l’aggressore a cessare il fuoco e le parti a trattare? Come arrivare, dunque, a una pace oggi inafferrabile, ma domani unica soluzione di questo conflitto “ripugnante”, come l’ha chiamato un altro Papa, Francesco?
Sì, l’intervento di Zelensky, dignitoso e struggente al tempo stesso, era di quelle cose che i comuni cittadini, a prescindere dal loro pensiero su questa inenarrabile tragedia, sentivano come imperdibile.
Eppure, a sentire il grido di dolore del presidente ucraino sotto le bombe, mancavano dai 300 ai 350 onorevoli. Se gli assenti hanno sempre torto, secondo una massima di senso comune, per un legislatore è inconcepibile non essersi presentato a un simile appuntamento. Qui non sono in ballo idee né posizioni ideologiche.
Si può contestare la strategia dell’Ue e perfino considerare la Nato all’origine d’ogni male pur di “spiegare” i carri armati di Putin. Ma nell’ora più buia, ascoltare il racconto dell’aggredito è un atto di elementare rispetto. Quella buona educazione istituzionale che per fortuna l’intero Parlamento “presente”, e le dure, ma giuste parole del presidente del Consiglio, Draghi, hanno comunicato a tutti gli italiani incollati alla tv. Ed è irrilevante scoprire se, chi ha scelto di disertare, l’ha fatto per convinzione, protagonismo o pacifismo estremo. Così come tra Zelensky e Putin bisogna scegliere da che parte stare, e nessuna terza via è ammissibile tra chi fa la guerra e chi la subisce, crediamo che la grande maggioranza degli italiani abbia apprezzato le ragioni dei presenti e non il torto di chi non c’era.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi