Alla signora Merkel l’Europa piace così tanto, che ne vorrebbe due. Per la prima volta, e proprio alla vigilia delle celebrazioni già previste in Italia, il prossimo 25 marzo, per i sessant’anni dei Trattati di Roma che istituirono la Comunità economica europea, cioè l’atto fondativo dell’Unione, Frau Angela legittima l’ipotesi di un continente a due velocità. “La nuova integrazione non sarà per tutti”, ha detto la cancelliera tedesca e sovrana riconosciuta dell’Unione europea, perfino annunciando che tale prospettiva potrebbe essere indicata nella “dichiarazione di Roma”. Bel modo di “fare la festa” ai 27 Paesi che ancora credono nell’opportunità di stare insieme dopo la Brexit.
La lezione che in realtà si doveva ricavare dall’addio della Gran Bretagna in pieno corso, oltre che dall’umiliante condizione di vigilata in casa della Grecia, poteva e doveva essere opposta: che fare per ritrovare il senso di un destino condiviso. Come rendere la politica continentale un servizio per i suoi cinquecento milioni di cittadini che esigono scelte chiare sull’economia, la sicurezza, l’immigrazione e i rapporti umani, culturali e diplomatici col resto del mondo.
Invece la Merkel rilancia immaginando che, per unirci ancor più, dovremo dividerci. Da una parte i Paesi virtuosi che riescono a tenere il passo della Germania e dei suoi interessi, dall’altra gli inseguitori.
Che l’ipotizzato dimezzamento avvenga mentre al di là dell’Oceano Donald Trump, il nuovo presidente degli Stati Uniti, non perde occasione per dire tutto il male possibile dell’Europa (e chissà se l’ha fatto anche nella prima conversazione telefonica ufficiale che ha appena avuto col nostro Paolo Gentiloni), la dice lunga sul vento pavido che spira nei Palazzi. Posto che quello, caldissimo, che soffia nelle piazze sempre più si chiama e si richiama al populismo.
Ma se l’unica ricetta per rimettere la traballante Europa in cammino è quella di separarne i marciatori, il traguardo resterà lontano per tutti. Solo l’Unione fa la forza, specie quando l’America sembra interessata a farsi gli affari suoi. Tutti lo sanno: la Casa europea deve essere ristrutturata in fretta. L’europeismo suona come vuota retorica rispetto al lavoro che non c’è, al terrorismo che incombe, ai giudizi e pregiudizi che gli europei coltivano per le migrazioni senza fine.
Ma una certa idea dell’Europa è l’unico sogno che una classe dirigente degna dei suoi popoli non dovrebbe far tramontare, sessant’anni dopo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi