Anche nella corsa alla Casa Bianca pare che chi si somiglia, si piglia. Dopo che il repubblicano ed ex presidente Donald Trump aveva scelto il senatore J.D. Vance come suo vice (“è il suo clone”, commentò con sarcasmo il presidente, Joe Biden), ecco l’antagonista e vicepresidente, Kamala Harris optare per il governatore del Minnesota, Tim Walz quale numero 2 del ticket democratico. Subito Trump chiosa: un altro “radicale di estrema sinistra”.
Dunque, a ciascuno il suo e la sua dose d’altrui scherno in una campagna elettorale che si polarizza sempre più. Del resto, non accade solo in America, se si pensa alla recente sfida elettorale in Francia tra il radicalismo di destra di Marine Le Pen per interposto candidato Jordan Bardella e quello di sinistra interpretato dal non meno tribuno Jean-Luc Mélenchon.
Ma il voto di un mese fa a Parigi, il cui esito “estremo” non ha ancora dato un governo al Paese ospitante i Giochi della XXXIII Olimpiade, non ha lo stesso peso geopolitico sul Medio Oriente dilaniato di quello che avranno le elezioni presidenziali fra tre mesi negli Stati Uniti.
Si vivono ore di enorme tensione fra Israele e Iran, passando per gli Hezbollah, Hamas e gli Houthi nel Mar Rosso, ossia l’intero universo regionale di guerra. Dopo l’uccisione del capo politico di Hamas a Teheran, la rappresaglia iraniana appare sempre più vicina. La stessa Tel Aviv potrebbe finire bersaglio della minacciata vendetta, tant’è che si approntano bunker e rifugi. E il primo ministro, Benjamin Netanyahu, non esclude neppure l’ipotesi di un attacco preventivo. Chi colpirà per primo?, ormai è questo l’interrogativo sullo scenario incandescente.
“Siamo sul filo del rasoio”, sottolinea il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parla al telefono col Re di Giordania, Abdallah II, per tentare, ancora, “una soluzione politica”, secondo l’indirizzo seguito dall’Unione europea finora senza successo. Perché in questo contesto prevalgono due volontà: quella dei diretti contendenti, in particolare di israeliani e iraniani, che decideranno in che modo “farsi sentire” nel Medio Oriente teatro d’ogni conflitto. E conta la volontà dietro le quinte, eppur potente, degli Stati Uniti e della Russia.
Nel caso americano sono proprio fonti di Washington a prevedere il peggio. Nel caso russo è lo stesso Putin, che da due anni e mezzo non risparmia nessuno nella guerra da lui scatenata contro l’Ucraina, a chiedere all’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, di evitare vittime civili tra gli israeliani.
Ma se un personaggio come Putin esorta un personaggio come Khamenei alla moderazione, si può comprendere quanto sia drammatico il crescendo di minacce e gli echi di guerra. E quanto può influire la sfida Trump-Harris ora completata dal duetto Vance-Walz.
Una campagna elettorale che già in queste ore brucia di polemiche sul Medio Oriente che brucia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova