C’è un luogo, all’ombra della Piramide Cestia, dove le coppie si sdraiano sul prato per parlarsi con tenerezza. E i ragazzi navigano col computer seduti sulle panchine. E le scolaresche percorrono sentieri disordinati per scoprire versi d’amore e di morte scolpiti sulla pietra. E’ un luogo di vita, pieno di fiori e di sole. Eppure, è un cimitero. “E’ il cimitero di chi morì al di fuori della fede romana, ed è al tempo stesso, forse, il luogo più cattolico della città. Russi, danesi, tedeschi, francesi, inglesi, americani, italiani e uomini di non so quali altre lingue riposano qui tutti insieme nell’attesa della resurrezione. Sotto i suoi scuri cipressi e tra i suoi cespugli di rose vi sono circa milleduecento tombe. Un’assemblea silenziosa da tutto il mondo”. Così annotava sul suo taccuino un viaggiatore dell’Ottocento, il signor Nevin.
Con una mostra intitolata “Ai piedi della Piramide” in programma dal 23 settembre al 13 novembre, i gestori del Cimitero Acattolico di Roma insieme con la Casa di Goethe daranno voce a quest’assemblea silenziosa. Per commemorare i trecento anni di quel che un tempo si conosceva come “Cimitero protestante”, uno tra i più antichi d’Europa. Attraverso una trentina di quadri, dipinti e immagini provenienti per la maggior parte da collezioni private, e firmate da pittori come William Turner o Edvard Munch, s’intende raccontare la storia del cimitero sorto nel 1716 per necessità e col permesso del Papa Clemente XI. Ai non cattolici era preclusa la sepoltura nella terra consacrata di Roma.
Dunque, sarà la pittura a narrare la poesia. Poeta celebre, infatti, era l’inglese Percy Bysshe Shelley, che nel 1818 aveva descritto le tombe visitate, soprattutto di giovani e donne, con parole struggenti, e che oggi è a sua volta mèta di pellegrinaggio. “Dov’è Shelley?”, chiedono, all’ingresso, ragazzi d’Inghilterra e dell’universo arrivati per deporre bigliettini di gratitudine. “Dov’è Keats?”, chiese Oscar Wilde nella visita del 1877 alla ricerca di uno dei maggiori poeti inglesi del Romanticismo. Il cui epitaffio dice: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”. “Dov’è Gramsci?”, chiese Pier Paolo Pasolini nel 1954, descrivendo poi un “vortice dei sentimenti”. Altrettanto appassionati sono i messaggi dei visitatori d’oggi, come lo scomparso e controverso già presidente del Venezuela, Hugo Chávez. Li lasciano scritti, qualcuno in rosso, su piccoli sassi sopra la tomba di Antonio Gramsci, qui sepolto in virtù della nazionalità russa della moglie.
Il cimitero a ridosso delle Mura Aureliane mescola il verde e la letteratura, l’amore per Roma e l’addio alla patria. Morire lontani da casa, specialmente nell’epoca del Grand Tour, quando i viaggi degli stranieri più colti, ricchi e curiosi erano lunghi e faticosi. Bastava una malattia per non poter più tornare indietro. Stranieri di religione non cattolica e residenti in Italia, ecco a chi è riservato il cimitero. Fra le oltre cinquemila sepolture figurano numerosi i nomi italiani. Dal romanziere Carlo Emilio Gadda al fisico Bruno Pontecorvo, dalla poetessa Amelia Rosselli alla giornalista Miriam Mafai, dal regista Gualtiero Jacopetti al politico Gianni Borgna, al musicista Paolo Di Modica che si è battuto contro la Sla fino alla fine, alla famiglia Bulgari di origine greca. Tante storie, anche di garibaldini, perché un italiano o un cattolico può riposare per sempre nel Cimitero Acattolico “se è partner, coniuge o figlio di una persona straniera qui sepolta”, spiega Amanda Thursfield, la direttrice che tutto ricorda, nominata dagli ambasciatori dei quindici Paesi, dal Regno Unito agli Stati Uniti, a cui spetta la gestione. Ma una regola vale per tutti: sono ammessi solo fiori e piante freschi. Più di quattrocento alberi e pini, e violette, e margherite testimoniano che in tre secoli di memorie la regola è stata rispettata.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma