All’apparenza è solo un innocuo emendamento. Dice: “Per il territorio della Provincia autonoma di Bolzano la conoscenza della lingua tedesca costituisce requisito sufficiente di conoscenza linguistica necessaria per l’esercizio delle professioni sanitarie”.
Ma, a parte le fastidiose ripetizioni nel testo, l’effetto delle parole è dirompente: significa che, per fare i medici o gli infermieri in una parte della Repubblica italiana, si può fare a meno dell’italiano. Tradotto dal politichese? Un medico austriaco o straniero parlante tedesco potrebbe iscriversi all’Ordine dei medici di Bolzano senza conoscere una sola parola della lingua di Dante. Che è, oltretutto, l’unica lingua ufficiale della Nazione. E della quale diverse e recenti sentenze della Corte Costituzionale hanno riaffermato il ruolo insostituibile. Anzi, di “primazia”. Che vale due volte in Alto Adige, dove vige l’obbligo del bilinguismo italiano-tedesco. Ma in caso di dubbio interpretativo delle leggi -chiarisce lo stesso statuto di speciale autonomia approvato con il consenso dei rappresentanti politici della minoranza nazionale di lingua tedesca-, “fa testo la lingua italiana”. Che è “la lingua ufficiale dello Stato”. Lo sanno, dunque, anche in Alto Adige.
Eppure, l’eventuale novità (sarebbe peraltro surreale: abolire l’obbligo di conoscere l’italiano per esercitare pubblicamente in una parte d’Italia), è invece contenuta nel decreto semplificazioni in un passaggio proposto dalla senatrice Julia Unterberger (Svp) e approvato a Palazzo Madama dalle commissioni riunite I e VIII.
E’ una delle questioni di un pacchetto di misure che la pragmatica Svp ha richiesto al governo in cambio dell’appoggio al Senato. Si vedrà se e fino a che punto l’esecutivo-Conte li accontenterà.
Intanto, l’emendamento sta già suscitando la reazione durissima della Federazione degli Ordini dei Medici. “Esprimiamo la nostra contrarietà, anche in considerazione del fatto che una legge provinciale che andava nella stessa direzione è stata impugnata dal governo di fronte alla Corte Costituzionale”, accusa Filippo Anelli, il presidente della Federazione. Che si rivolge al governo e al Parlamento “perché facciano un passo indietro e stralcino l’emendamento o lo annullino con un emendamento soppressivo”.
Ma si rivolge “in particolare” alla stessa presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, chiedendole di stralciare l’emendamento “per estraneità di materia”.
La polemica divampa al di là dell’assicurazione che nei servizi sanitari di pubblico interesse dovrà comunque essere garantito agli utenti, com’è naturale, l’uso delle due lingue. Ciò che allarma non solo i medici è il grave precedente che rischia d’essere introdotto: poter sorvolare sull’italiano quale requisito ineludibile per esercitare in Alto Adige.
Se tale assurdità dovesse oggi essere contemplata per i medici, domani potrebbe riguardare altre categorie di pubbliche professioni. Si potrebbe così arrivare, strada facendo, non più all’obbligo di conoscere l’italiano “e” il tedesco a Bolzano e dintorni -com’è oggi-, ma di conoscere l’italiano “o” il tedesco. Una semplice congiunzione potrebbe rompere un equilibrio che dura da 74 anni. Dall’Accordo De Gasperi Gruber che nel 1946 ha parificato il tedesco all’italiano in Alto Adige. Parificato: non sostituito.
L’italiano poi è ovviamente la lingua ufficiale del servizio pubblico nazionale. “Non sapevo che la provincia di Bolzano fosse stata annessa all’Austria”, ironizza il presidente Anelli su una questione che rischia di diventare molto seria. Anche perché l’emendamento contestato arriva proprio quando la Corte Costituzionale è stata chiamata dal governo-Conte a sentenziare sulla materia.
E se fosse una mossa politica per evitare che la Corte torni a ricordare che l’italiano è da considerare alla stregua di un intoccabile principio costituzionale?
Pubblicato su Il Messaggero di Roma