E’ cominciata con una cena a Bruxelles, ieri sera, l’altra partita degli europei. Mentre la Nazionale di calcio, vincitrice in carica, attende l’incontro di giovedì prossimo con la Spagna, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, fresca pure lei di vittoria alle elezioni per l’Europarlamento e della presidenza di un G7 in Italia che ha riaffermato la strategia occidentale a fianco dell’Ucraina, prova a fare gol nel campionato politico parallelo a quello sportivo. In ballo la scelta dei quattro vertici dell’Unione europea e della squadra di commissari al centro dei colloqui informali, tra un piatto e l’altro, dei 27 capi di Stato e di governo.
Stavolta l’Italia gioca per partecipare alle decisioni e per portare a casa un risultato. Il nostro governo, che è l’unico a non essere uscito con le ossa rotte dal voto europeo, ha disegnato la sua tattica in campo: la miglior difesa dell’interesse nazionale sarà l’attacco.
Almeno così si presentano all’appuntamento di Bruxelles la determinata presidente del Consiglio e il suo ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “L’Italia ha diritto alla vicepresidenza e a un commissario di peso”, ha dichiarato alla vigilia del partitone.
Per la principale casella della competizione, cioè la presidenza della Commissione Ue, parte super-favorita Ursula von der Leyen per la riconferma (così come Roberta Metsola per il bis alla presidenza del Parlamento di Strasburgo). Ursula ha il sostegno, peraltro non granitico, del suo Ppe, che s’è confermato la colonna portante nell’Ue, e l’appoggio di socialisti e liberali, così potendo ricostituire, i tre gruppi insieme, la maggioranza uscente.
Ma nel segreto dell’urna europarlamentare già nella scorsa legislatura si sono fatti sentire i franchi tiratori. Se quelle truppe invisibili ora superassero la soglia considerata fisiologica -ipotesi non peregrina-, Ursula sarebbe bocciata.
Ecco perché, per evitare sorprese, potrebbe avere un ruolo, sollecitato apertamente da Tajani che è il rappresentante italiano nel Ppe, il gruppo dei conservatori guidato dalla Meloni. Non per puntellare una coalizione che si regge da sé (i socialisti, poi, vedono come fumo negli occhi aiutini a destra), ma come polizza assicurativa per la certezza del bis.
D’altra parte, se l’Europa si è spostata a destra e perfino al radicalismo di destra, non sarà semplice per la “maggioranza Ursula” far finta di niente. Anche alla luce delle manovre in corso per riunire sotto lo stesso tetto tutti i gruppi anti-progressisti in Europa, da Marine Le Pen alla Meloni, come chiede Matteo Salvini, il “ponte” tra Marine e Giorgia.
Dunque, molti partiti e molte partite nella competizione. Tra voti e veti sarà il Ppe a dare le carte.
Ma dei tre grandi Paesi Ue anche l’Italia, che non ha subìto la catastrofe elettorale dei governi in Francia e in Germania, ha carte da giocare.
La sfida per la nuova Europa è cominciata.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova