Dalla Lazio a Garibaldi. Arturo Diaconale, giornalista dal tratto gentile, coltivava le fedi con passione. Credeva nella sua squadra del cuore fino a esserne diventato il portavoce nel 2016. E poi il culto del Risorgimento, che col Rinascimento e con Roma antica è la culla universale di una certa idea dell’Italia. Che era anche la sua.
Ora che Diaconale non c’è più, perché a 75 anni se l’è portato via il male che lo inseguiva da tempo, e che lo aveva costretto a un recente intervento alla testa, è facile raccontare di lui. Anche a quanti, nelle apparizioni in tv, ne hanno colto il sorriso un po’ sornione di quei romani -lui, abruzzese, romano era diventato-, che sanno come va il mondo, perché tutte le strade da qui, capitale infinita, ancora passano.
Della lunga carriera che dal Giornale di Sicilia lo portò a Studio Aperto, resta la colonna portante fra carta stampata e tv: il Giornale di Montanelli, del quale Diaconale fu vicecaporedattore a Roma alla fine degli anni Ottanta. Vi poté affinare la sua arte, che era quella -complicata, nel Paese di Machiavelli- di capire e commentare la politica con chiarezza e coerenza. Anche dirigendo dal ‘93 il giornale liberale l’Opinione, autobiografia quasi trentennale. E candidandosi per il Polo per le libertà nel ‘96. Ma in realtà Diaconale già scendeva in campo da tempo con i suoi colori biancocelesti. Talmente laziale, da andare allo stadio nel ’74 (anno del primo scudetto) con le stampelle per la rottura del tendine alla gamba.
Di quest’amore testimoniano le malinconiche parole del presidente della Lazio, Claudio Lotito, che ne ricorda “l’incedere elegante, composto, da signore d’altri tempi, per i viali di Formello”.
Testimonia il grido di dolore di Guido Paglia, amico fraterno e vicedirettore negli anni indelebili del Giornale: “Sessant’anni di una vita sempre insieme, fin dal Liceo Scientifico Castelnuovo a Monte Mario e i primi anni di giornalismo sempre in prima linea, senza mai cedere a quel conformismo generale che aveva cercato di emarginarci”. Testimoniano i commenti politici di chi, come l’ex presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, fu suo collega al Giornale (“uomo coraggioso e battagliero”), o di Giorgia Meloni, che ne sottolinea “la generosità e la professionalità”.
Generoso Diaconale fu nell’impegno sindacale per la categoria e poi attivo come membro del Consiglio di Amministrazione della Rai nel 2015. Un tranquillo spirito garibaldino, che finì per acquisire a forza di studiare le leggende dell’eroe dei due mondi.
Era anche un melomane innamorato. Al suo funerale -oggi alle 14 nella chiesa di San Pio X in piazza della Balduina-, si ascolteranno le struggenti note dell’Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini. Come lui voleva.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma