Come tutti gli autentici divulgatori di storia, quali sono gli studiosi che amano raccontare e non soltanto scavare negli eventi del passato, Arrigo Petacco veniva dalla cronaca. Cronaca nera, per la precisione. Fu l’esordio nella professione per un giornalista diventato anche storico nato a Castelnuovo Magra (La Spezia) il 7 agosto 1929 e scomparso ieri a ottantanove anni. Giornalista e storico che non disdegnava di fare lo sceneggiatore, nel suo caso quasi una sintesi obbligata del buon narratore. “Joe Petrosino”, il poliziotto italo-americano che si batté contro la mafia, divenne uno sceneggiato televisivo (1972) tratto dal suo romanzo biografico. Mentre cinque anni dopo “Il prefetto di ferro” girato da Pasquale Squitieri sulla figura di Cesare Mori in Sicilia, era sempre ricavato da un romanzo omonimo di Petacco.
E’ nei suoi libri, infatti, oltre che nelle apparizioni in tv più volte invitato per dire e per dare il suo sempre originale punto di vista su questo o quel grande avvenimento, che si conferma una mai sopita volontà di confrontarsi con la storia degli uomini e dei popoli senza i paraocchi dell’ideologia dominante. Petacco fu tra i primi a parlare di “guerra civile” a proposito del periodo drammatico fra il 1943 e il ’45 in Italia. Oggi è concetto storicamente acquisito, ma fino agli anni Ottanta era ancora aborrito dalla storiografia prevalente. Criticava, inoltre, la sproporzione fra il contributo dato dai partigiani alla Liberazione, e che considerava modesto, rispetto a quello decisivo degli americani. “La guerra l’hanno vinta gli Alleati, non la Resistenza”, diceva l’appassionato di storia. Di tutta la storia italiana, dal Risorgimento a “Caporetto”, l’ultima sua pubblicazione con Marco Ferrari. E senza temere polemiche. La più recente da lui sollevata? Petacco escludeva il diretto coinvolgimento di Mussolini nel delitto-Matteotti.
Ma a chi gli domandava dell’inizio del mestiere di giornalista, così ricordava con naturalezza: “Mi piaceva scrivere. Scrivevo degli articoli e poi li imbucavo indirizzandoli ai giornali. Non avevo mai risposta. Una volta mia madre torna a casa con dei fagiolini avvolti in un giornale: vedo la mia firma in fondo a un articolo. L’avevano pubblicato senza dirmi niente. Era sull’anniversario della morte di Edgar Allan Poe. Ho pensato: Allora forse qualcosa so scrivere…e sono andato avanti”.
Avanti fino ad arrivare alla direzione del mensile Storia Illustrata, del quotidiano La Nazione e di Speciale Tg1: scrittura e televisione, un binomio per lui, e per i suoi lettori-telespettatori, col tempo inscindibile. Eppure, aveva cominciato con un altro giornale, “Il Lavoro” di Genova diretto da Sandro Pertini. Cronista, innanzitutto. Cronista della storia.
Tra i numerosi titoli di un’ampia bibliografia diversi riguardano il fascismo: da “Dear Benito, caro Winston” a “L’Archivio segreto di Mussolini”. Tra i più importanti “I ragazzi del ‘44”. Fra i saggi “La Croce e la Mezzaluna” e “¡Viva la muerte!” Ma indagò nel profondo sui tanti misteri d’Italia, rovesciando luoghi comuni e riproponendo pagine strappate della storia nazionale. “L’esodo, la tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia”, è il titolo di un volume, pubblicato molti anni fa, che testimonia la sua capacità non solo di raccontare, ma soprattutto di guardare lontano.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma