E’ la cronaca della sua fine, ma anche il ritratto del dolore e dello spirito del tempo: “Era bello e forte come un atleta. Era gentile e fine come una fanciulla. Ed era Francesco Baracca, il campione invincibile della guerra aerea. Aviatore e cavaliere, è caduto a 30 anni, come un fante fra i fanti…”. Così scriveva dal fronte il poeta e inviato di guerra Guelfo Civinini per il Corriere della sera a proposito del più grande aviatore italiano del primo Novecento, protagonista di trentaquattro vittorie nel cielo durante la Grande Guerra. Il nostro “Barone Rosso”, che aveva fatto verniciare un cavallo nero e rampante sulla carlinga dell’aereo in omaggio alla sua antica e mai sopita passione di cavalcate (anche come ufficiale dell’Arma di Cavalleria, all’inizio) nelle praterie della libertà. E il cavallino rampante diventerà lo stemma universale della Ferrari dopo un abbraccio tra l’allora venticinquenne Enzo Ferrari e il conte Enrico Baracca, papà di quel figlio unico scomparso il 19 giugno 1918. Forse abbattuto da un colpo di fucile partito dalle trincee austro-ungariche, perché l’asso e Maggiore della 91a Squadriglia volava e mitragliava a bassa quota sul Montello, al tramonto, al suo quarto volo giornaliero, mentre sul Piave imperversava la “battaglia del Solstizio”. Il mistero di come sia morto non è mai stato chiarito del tutto in quell’orribile guerra che s’era già divorate le leggende di Filippo Corridoni, di Cesare Battisti, di Nazario Sauro. Baracca s’era però guadagnato la fama dell’immortale. “Tu mi devi rivelare il segreto della tua invulnerabilità”, era arrivato a chiedergli Gabriele D’Annunzio, incontrandolo.
Questo e molto altro raccontano Luca Goldoni e Alessandro Goldoni in “Francesco Baracca, l’eroe dimenticato della Grande Guerra, Bur storia”. Pagine di aneddoti e di citazioni, di eventi e di affreschi: “Ti mira fisso negli occhi, come quando sull’aereo punta e spara”, dirà una delle tante ammiratrici. Francesco era nato il 9 maggio 1888 da famiglia ricca. La sua libera scelta di fare il soldato, in quegli anni tanto importanti per l’indipendenza e l’unità dell’Italia, diventa una testimonianza “di quegli italiani migliori che seppero mettere la dignità al di sopra della paura”, ricordano gli autori.
Un eroe borghese, Francesco Baracca, “alto, con naso forte e dritto e due baffetti alla Clark Gable”, con studi classici alle spalle e passione per la lirica e per la scrittura. Tante lettere, soprattutto alla donna che, fra le molte avute o che avrebbero voluto averlo, più gli è stata cara: la madre Paolina. “Per un aviatore, le qualità necessarie sono il coraggio, la calma e la prudenza”, le scriveva nel 1912 il figlio ventiquattrenne per rassicurarla, mentre frequentava un corso per coltivare l’arte del pilota a Reims in Francia. “Sono sempre più contento della decisione presa, perché come aviatore proverò delle soddisfazioni grandissime, avrò dei riguardi speciali da parte di tutti, sarò quasi indipendente, viaggerò molto, ed avrò anche tutto il tempo, tornando in Italia, di curare i miei cavalli che formeranno sempre la mia passione più grande”. Un cavaliere dell’aria, al quale la memoria ha ridato, cent’anni dopo, ciò che la vita gli tolse a soli trent’anni: la grazia di una storia invincibile al tempo che passa.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma