Nell’arcobaleno universale delle lingue il professore ha già trovato il colore dell’italiano: “E’ riconoscibile come la lingua della simpatia”. Come storico della Chiesa cattolica non ha dubbi: “Papa Francesco è il più grande testimonial della lingua italiana nel mondo”. Come ex ministro della Cooperazione internazionale (governo-Monti nel 2011) dice: “Non investire sulla lingua italiana è come volere un Paese muto”. Parla Andrea Riccardi, fondatore della Comunità Sant’Egidio nel 1968, e da poco eletto alla presidenza della Società Dante Alighieri. Annuncia al Messaggero la nuova sfida: “Rafforzare l’italofonia, il ponte fra lo stile di vita italiano e il mondo che ama la nostra lingua”.
La Dante fu fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidato dal poeta Giosuè Carducci. Centoventisei anni dopo, è più facile o più difficile tutelare e diffondere la lingua italiana nel mondo?
“La Dante è nata in un contesto in cui l’Italia affermava la sua prima identità unitaria attraverso la lingua e la cultura italiane. Oggi non è solo un problema di mantenere viva la lingua tra gli italiani nel mondo, ma anche di insegnarla agli immigrati nel nostro Paese. E poi c’è un altro aspetto importantissimo: l’enorme patrimonio di ital-simpatia”.
Che tipo di simpatia intende?
“E’ una simpatia per l’Italia, per la sua cultura, la lingua, la musica, il design, lo stile, il modo di vivere italiani. Come spiegare, altrimenti, il mistero del perché l’italiano sia la quarta lingua più studiata tra gli stranieri nel mondo? Succede per lo stile di vita. E’ il piacere della bellezza prima che dell’utilità. Un certo consumismo tende a sopprimere il valore della bellezza. Ma una vita senza bellezza diventa disumana e si spegne. E’ la bellezza delle città italiane, della nostra arte, del nostro modo di vivere. C’è un umanesimo italiano, un nostro genio. Non lo dico con retorica. Uso un tono basso. Parlo di un umanesimo pratico e vissuto. Un’opportunità per l’Italia, se saprà coglierla. Penso, per esempio, al prossimo Giubileo: che questa Roma sia all’altezza del suo nome evocativo nel mondo”.
Ogni Paese ha una sua politica della lingua per valorizzare e diffondere il proprio idioma in patria e all’estero. Perché i governi e le istituzioni italiane sono invece così poco consapevoli del valore internazionale della lingua italiana, che quest’anno festeggia 1.055 anni di vita?
“Non lo so, è qualcosa che mi stupisce. Ma la questione è molto giusta: non investire sulla lingua è non investire su tutta la ricchezza italiana. In un certo senso è come volere un Paese muto”.
Perché la Dante non si fa promotrice di una conferenza internazionale per l’italofonia, come fanno tutti i Paesi europei con le proprie lingue, mettendo insieme personalità e Stati interessati alla lingua italiana?
“Mi sono appena insediato, trovando una Società dalle tradizioni antiche, ma vitale. Una delle mie proposte va proprio in questo senso e intendo approfondirla molto presto coi miei collaboratori: rafforzare lo spazio dell’italofonia”.
L’italiano è l’”inglese dei preti”, come suol dirsi. Papa Francesco non perde occasione per parlare in italiano anche all’estero. Bella lezione per chi rappresenta la Repubblica italiana a tutti i livelli, e magari scrive in pietoso inglese il logo del Comune di Roma…
“Io credo che il Papa sia il più grande testimonial della lingua italiana nel mondo. La Chiesa cattolica è l’unica organizzazione internazionale in cui la lingua italiana è la lingua franca. Questo è un fenomeno molto interessante, che si connette al valore universale di Roma”.
Dove può portare l’amore degli altri per la lingua italiana?
“L’italiano ha bisogno di nuovi ponti per la sua diffusione e il suo approfondimento nel mondo. Noi abbiamo la grande possibilità della Dante nel mondo: più di quattrocento sedi -alcune con strutture molto solide come a Buenos Aires- in una sessantina di Paesi. Sono i cardini della nostra vita nel mondo”.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma