La strage di Brescia e il dovere della verità anche cinquantun anni dopo, perché la memoria non si prescrive

Sono passati 51 anni da quell’indelebile 28 maggio 1974, ma il tempo, che appare senza fine per dare giustizia alle 8 vittime e ai 102 feriti della strage di piazza della Loggia (oltre che ai loro familiari e a un Paese intero che da allora giustizia reclamano), non ha cancellato l’incessante ricerca della verità. Che non è mai venuta meno neanche in sede giudiziaria. Né ha cancellato il dovere istituzionale e morale di accertare ogni responsabilità a qualsivoglia livello.

Adesso è arrivata un’altra condanna, che per la prima volta -per questo si parla di “verdetto storico”-, riguarda un ritenuto esecutore materiale, allora sedicenne, condannato in primo grado dal Tribunale dei Minori a trent’anni di carcere. Era la pena richiesta dalla pubblica accusa.

Com’è noto, il ragazzo dell’epoca, Marco Toffaloni, è nel frattempo diventato uomo in Svizzera. E non sarà estradato neppure in caso di condanna definitiva, perché per la legge del suo nuovo Stato il reato sarebbe prescritto.

Ricapitoliamo: mezzo secolo dopo, una condanna che dovrà ancora percorrere la lunga e tortuosa strada degli appelli e che, anche se e quando dovesse diventare conclusiva, rischia di non essere scontata.

Ce n’è quanto basta per aggiungere l’amarezza di oggi al dolore di ieri e per chiedersi se è giustizia, quella destinata a restare incompiuta. Almeno in parte, perché altre condanne e altri colpevoli della strage di matrice neo-fascista sono invece già stati riconosciuti in via definitiva in precedenza.

Eppure, anche una lenta, ma inesorabile “verità in cammino” è fondamentale per la memoria di quel che è avvenuto nel nostro Paese.

Mentre la strada del diritto continuerà, imperterrita, nel suo percorso dei dibattimenti, è incoraggiante e da incoraggiare sempre poter ricostruire tutto il mosaico della verità. La doverosa verità.

Perché la memoria non si prescrive neanche col tempo che passa.

Pubblicato su Bresciaoggi