Manca solo l’oscuramento, anche se perfino l’illuminazione pubblica è stata tagliata in modo drastico. Ma, per tutto il resto, quello che sta accadendo in Grecia in queste ore riporta a quanto nel cuore dell’Europa non si vedeva né viveva da settant’anni: l’economia di guerra. Banche chiuse all’improvviso, code di cittadini per ritirare col bancomat il minimo consentito per comprare pane e latte, con la promessa governativa che presto si potranno prelevare centoventi euro. Ma in una settimana! E legioni di disoccupati, soprattutto giovani. E pensionati alla fame. E stipendi bloccati per tutti, oltre che ridotti all’osso. E negozianti che avvertono la “gentile clientela”: qui si accettano solo contanti. L’esatto opposto delle nazioni che vanno a gonfie vele dove, per esempio in America, anche piccoli spiccioli si pagano con le carte di credito. Come se non bastasse, il Paese che vive di turismo è costretto alla corsia preferenziale per i suoi visitatori stranieri. Almeno loro potranno ritirare col bancomat quel po’ di denaro necessario per la vacanza. Ma è un’orribile disparità di trattamento, se si pensa che ai greci la stessa possibilità è attualmente negata dal loro Stato per sopravvivere.
A prescindere da come finirà, e senza andare alla ricerca delle colpe -ma quelle all’origine sono delle classi dirigenti che si sono succedute ad Atene-, nessun europeo con la testa sulle spalle può tollerare una situazione del genere a due passi da casa. Nessun europeo che si sia cimentato a scuola fra Sparta e Atene o in ferie tra Mykonos e Santorini può accettare che una parte di sé, cioè di una storia e di un presente tanto condivisi, sia così radicalmente diversa da sé. Se questo discende dalla globalizzazione, che tende sempre più ad uniformare non solo le ragioni, ma anche i torti delle istituzioni e delle popolazioni, è evidente che essa vada ripensata. Non può accadere a pochi chilometri di distanza, e per quanto gravi siano le responsabilità rispettivamente greche e dell’Unione europea, che un popolo intero sia tornato o quasi ad un’economia del baratto e al baratro della crisi. Non è pensabile che una nazione con la stessa nostra moneta debba mendicare i propri risparmi. Non è accettabile che nell’Europa senza confini uno dei suoi membri, il più antico, oltretutto, debba chiudere la sua frontiera dell’economia ancora non si sa se per sette giorni o per sempre. Non si può più ignorare che c’è un modo “fare economia”, soprattutto finanziaria, che prima o poi finisce per umiliare la gente.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi