Da destra a sinistra, da Giorgia Meloni ad Elly Schlein, passando per Matteo Salvini e Giuseppe Conte, si sono sentiti soltanto applausi per il decimo messaggio di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Sedici minuti in piedi all’ombra di tre bandiere -il Tricolore, l’emblema europeo e il vessillo presidenziale- e dell’albero di Natale con palline dov’erano incisi i primi articoli della Costituzione e la formula di rito del giuramento di fedeltà alla Repubblica pronunciata dai presidenti del Consiglio e dai ministri. Una cornice sobria e profonda, che rivela la personalità del capo dello Stato e le cose in cui crede, e che sono patrimonio della Nazione.
Troppe e sante cose il presidente ha detto per ricordarle. Ma ce n’è una, centrale, che neanche gli osservatori più attenti hanno sottolineato (o voluto sottolineare). La differenza che Mattarella ha tracciato tra pace e pacifismo nell’Europa che presto celebrerà -si fa per dire- il terzo anno della ripugnante invasione di Vladimir Putin in Ucraina. Correva il giorno 24 febbraio 2022.
“Mai come adesso la pace grida la sua urgenza”, ha detto Mattarella, ben consapevole anche dei tragici conflitti in Medio Oriente. Ricordando, però, che la crescita degli armamenti ovunque è stata “innescata nel mondo dall’aggressione della Russia all’Ucraina, che costringe anche noi a provvedere alla nostra difesa”.
Niente equivoci, dunque, neppure sul diritto-dovere dell’Italia e dell’Occidente di “provvedere alla nostra difesa” -ripetiamolo-, perché “la pace non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi, ma la pace del rispetto dei diritti umani, la pace del diritto di ogni popolo alla libertà e alla dignità”.
Nessun fraintendimento, perciò, sulla storica distinzione gandhiana -così bene interpretata in Italia dal radicale Marco Pannella- tra chi proclamava l’ideologico “meglio rossi che morti”, cioè la consegna della vittima all’aggressore all’insegna di una pace travisata (come lo fu quella dell’allora codardo interrogativo dell’indifferenza, “morire per Danzica?”, che consentì a Hitler di papparsi la Polonia e scatenare l’immane seconda guerra mondiale) e chi invece, alla Pannella, appunto, faceva prevalere il concetto del “meglio liberi, sempre” quale fondamento della pace vera.
Del resto, chi conosce il pensiero di Gandhi, e non si limita a usarne il nome all’insegna di un buonismo ecumenico, cioè demagogico, sa bene quale sia la differenza tra pacifismo e non violenza.
“Meglio essere violenti, se c’è violenza nel nostro cuore, che indossare il manto della non violenza per coprire l’impotenza”. Questo diceva il Mahatma, primo artefice nel Novecento della resistenza all’oppressore con la disobbedienza civile di massa, che portò l’India alla liberazione dal colonialismo della Gran Bretagna. La rivolta pacifica, ecco la grande novità.
Mattarella ha inoltre rilanciato, ed è la prima volta che l’ha fatto con queste intense parole, l’idea di Patria. Il patriottismo di chi fa il proprio dovere, medici, insegnanti, imprenditori. Un’idea aperta della Nazione, perché patriottismo è anche quello di chi, originario di altri Paesi, “ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità”.
L’amor di Patria e l’amor di pace: se ci pensiamo, sono la stessa cosa.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige