L’autonomia differenziata non è stata bocciata, ma rimandata all’esame del Parlamento, perché risulta “parzialmente illegittima”: deputati e senatori dovranno nuovamente intervenire per colmare il conseguente vuoto legislativo delle ravvisate incostituzionalità.
Ma anche se si elencano solo alcune “specifiche disposizioni” in contrasto con la Costituzione e si salva l’impalcatura generale del testo-Calderoli, l’altolà della Corte Costituzionale suona chiaro e preciso.
Di fatto, il ricorso di Puglia, Toscana, Campania e Sardegna, quattro regioni guidate dal centrosinistra, contro il provvedimento nazionale voluto dalla Lega e promosso dal centrodestra per consentire alle regioni ordinarie di esercitare, se lo richiedono, competenze in 23 nuove materie, viene accolto in parti importanti. E in altre parti considerate, invece, legittime, i giudici ne danno un’interpretazione vincolante, cioè la legge va bene, purché la si applichi nel senso da loro indicato, e che la rende, così, conforme alla Costituzione.
Nel complesso il messaggio diffuso dalla stessa Corte con un comunicato sintetico ed esplicativo (in attesa delle motivazioni che dovranno essere depositate), è che non ci sono controindicazioni per l’autonomia. L’autonomia si può fare, ma all’insegna del rigoroso principio dell’unità nazionale, della solidarietà e della sussidiarietà, cioè se le regioni mostreranno di saper fare meglio di Roma.
L’appunto principale è sulla devoluzione di poteri, che deve riguardare “specifiche funzioni legislative e amministrative”, anziché “materie o ambiti di materie”. E sempre che tali funzioni siano giustificate dalla singola regione “alla luce del richiamo del principio di sussidiarietà”.
La seconda questione riguarda il Parlamento, che non può essere scavalcato da intese con le regioni stile “prendere o lasciare”, ma neppure dal governo per la determinazione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione da assicurare sull’intero territorio nazionale. E anche qui con una precisa affermazione: le materie “no-Lep” non potranno riguardare “funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
Altre parti rilevanti e legittime del testo dovranno essere lette, ossia attuate, secondo la spiegazione che ne dà la Corte. Per esempio sul riferimento al gettito dei tributi erariali e alle risorse “destinate alle funzioni trasferite”, che non potranno non tener conto del “quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”.
Alla luce di questa sentenza che cancella, pone paletti e “interpreta”, bisognerà ora vedere quale sarà il destino del referendum contro l’autonomia. Un’autonomia che la Corte non ha abrogato, ma raddrizzato. L’albero dell’unità nazionale coi suoi rami autonomi, ma legati bene, ecco il regalo di Natale che i giudici riconsegnano al Parlamento nell’interesse di tutti gli italiani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova