Dal ritorno alla Casa Bianca alla riconquista del Senato, alla vittoria annunciata alla Camera dei rappresentanti: Donald Trump ha fatto il pieno di voti su tutta la linea. Ha battuto l’avversaria Kamala Harris nella sfida per la presidenza (e pure chi l’ha spinta nell’agone, il Barack Obama dietro le quinte) e ha sconfitto i democratici nei seggi per il nuovo Congresso, che da sempre rappresenta il contropotere al presidenzialismo degli Stati Uniti.
Adesso saranno i repubblicani ad avere le redini legislative in totale sintonia -non più per bilanciare, come da tradizione americana-, col ruolo forte del più potente capo della nazione al mondo eletto dal popolo attraverso il sistema dei grandi elettori.
Non c’è dubbio che si tratti di una svolta storica, e non solo perché gli statunitensi hanno ridato fiducia a Trump oltre ogni previsione sia nei consensi ottenuti Stato per Stato, sia nel voto popolare complessivo. Tutto ciò nonostante le inchieste giudiziarie che l’hanno colpito e le polemiche che il suo populismo, di fatti e parole, ha suscitato. Insomma, ne viene fuori un quarantasettesimo presidente con un mandato pieno ad attuare il programma grazie al quale ha avuto il travolgente successo: blocco dell’immigrazione illegale, rilancio dell’economia e fine delle guerre, dall’Ucraina al Medio Oriente.
Sono grandi questioni che non riguardano solo l’America. Trump ha promesso protezionismo alla sua gente, indicando tra il 10 e il 20% di dazi da introdurre alle importazioni europee, specie nell’industria automobilistica e nell’alimentare. Ha ricordato ai suoi alleati Ue che dovranno rispettare l’obbligo di versare il 2% del Pil nazionale per tenere in piedi la Nato, cioè la principale difesa dell’Occidente. In sostanza, lo Zio Sam, che ci ha già salvati in due conflitti mondiali, non mostra più l’intenzione di fare da pronto soccorso con risorse economiche e militari alla martoriata Ucraina. Anzi, Trump rivendica d’avere un buon rapporto con Putin, l’indomito aggressore.
Se l’“America viene prima”, l’Europa e l’Italia dovranno ritagliarsi un ruolo innovativo per stare al passo del grande alleato, che ora si prepara a volersi fare gli affari suoi (anche con l’aiuto del geniale e supermiliardario Elon Musk). Un’intenzione isolazionista che può indebolire la fermezza europea sull’Ucraina e danneggiare l’economia continentale.
Con Trump l’Europa è posta al bivio tra rilancio di sé e quella “lenta agonia” tanto bene spiegata nel recente rapporto politico-economico con cui Mario Draghi ha dato la sveglia a Bruxelles. Ora l’Europa dovrà riscoprire e far valere la sua ragion d’essere, pena il declino.
Ma l’Italia dovrà trovare anche un suo autonomo percorso per impedire la penalizzazione del “made in Italy” in America (secondo Paese per interscambio dopo la Germania). Fare di necessità virtù, ecco il nuovo compito per Palazzo Chigi a fronte del vento nuovo alla Casa Bianca.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova