Non è un vicino ingombrante, quello della porta accanto, ma vuole aver ragione anche quando ha torto. L’abitudine difficilmente cambierà, qualunque sarà il governo che sorgerà dopo il voto che ha visto la vittoria della destra estrema e più radicale nella storia politica dell’Austria.
Nei rapporti finora eccellenti fra Roma e Vienna, il Brennero è il termometro dello stato di salute e di amicizia tra i due Paesi dell’Unione europea. Dove già si coglie la prima differenza. Loro appartengono al club dei frugali, cioè di quelli che si piccano di mettere la quadratura dei conti (più i conti degli altri, in verità, che non i propri) al di sopra di ogni scelta. Una tendenza che, sull’onda del vento elettorale, potrebbe rafforzarsi.
Noi, invece, nell’Ue puntiamo sulla crescita e invochiamo flessibilità, senza rinunciare al rigore. Del resto, chi più s’intende della materia, Mario Draghi, è italiano e non austriaco.
La frontiera del nostro nord, che corrisponde al loro sud, unisce e divide. L’anno scorso siamo stati, dopo la Germania, il principale partner commerciale: volume di scambi di 25 miliardi di euro. Dunque, uniti.
Ma in realtà il medesimo valico ha rappresentato a lungo un ostacolo insuperabile per l’autotrasporto dei mezzi pesanti. Divieto di transito notturno, di circolazione settoriale e nei giorni invernali, limitazione del volume di traffico: un inferno per i Tir e per l’economia italiana, oltre che un affronto al principio europeo di libera circolazione.
Il 16 settembre la Gazzetta dell’Unione Europea ha pubblicato l’inevitabile ricorso del governo italiano alla Corte di Giustizia Ue contro i divieti austriaci, forte anche del parere della Commissione europea favorevole alla posizione italiana (condivisa pure dalla Germania).
I vicini austriaci hanno “tenuto il punto” per anni, insensibili a trovare un’intesa con Roma. A tutela della popolazione e dell’ambiente del Land Tirolo, Vienna ha chiuso il portone del Brennero in faccia ai Tir. Com’era giù successo e succede per le persone, cioè per gli immigrati, respinti o portati al di qua del Brennero. Un’altra potenziale incomprensione, posto che i vincitori hanno puntato molto sulla lotta all’immigrazione.
Archiviata, invece, la questione altoatesina. Nel 1992 Vienna ha rilasciato a Roma la “quietanza liberatoria” che chiude definitivamente la controversia trascinata all’Onu dall’Austria sull’interpretazione dell’attuazione dell’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946 a favore della minoranza di lingua tedesca. Eppure, il governo italiano è alle prese con la richiesta Svp di ripristinare competenze che, dal rilascio della quietanza in poi, sarebbero state cancellate o limitate dalla Corte Costituzionale.
Un giuridichese che, in realtà, non si può associare alla certificata chiusura della vertenza, essendo l’autonomia speciale per l’Alto Adige un atto compiuto in libertà dal sovrano Parlamento della Repubblica. Non risulta che l’Austria legiferi a Montecitorio. E poi la Corte Costituzionale è il massimo organo di garanzia per tutti, cittadini italiani di lingua tedesca compresi.
Palazzo Chigi e Farnesina dovrebbero essere loro, stavolta, a “tenere il punto”: la questione altoatesina non c’entra. Roma se la veda con Bolzano e con la Svp e facciano tra loro quel che vogliono. Ma Vienna è fuorigioco.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma