Mancava solo l’ultima, ma principale benedizione per far partire l’operazione “Kamala Harris alla Casa Bianca”. Ed è arrivata con qualcosa di nuovo, oggi, nella sfida che sa d’antico contro Donald Trump. E’ arrivato il “Yes, she can”, sì, lei può, eccome se Kamala può farcela, secondo il viatico pronunciato da Barack Obama, l’ex presidente che ancora incanta la platea dei democratici. Ma meglio di lui ha fatto la moglie Michelle, che molti avrebbero voluto come candidata. Nell’attesa della prossima volta, ha galvanizzato le truppe all’assalto dell’odiato e bersagliato nemico.
Eppure, la campagna elettorale non potrà vivere delle facili emozioni né delle ovazioni riservate agli Obama, e il giorno precedente al presidente Joe Biden, ritiratosi dalla corsa col concorso di colpa (o di merito: lo si giudicherà il 5 novembre all’esito del voto) della coppia più amata dalla metà d’America, e più avversata dall’altra metà repubblicana.
Se c’è un messaggio politico che esce dall’assemblea pro Kamala è che lo scontro con Trump non avverrà soltanto sul pur inevitabile piano personale, tanto i due aspiranti presidenti si detestano. In ballo sarà l’economica, il crescente disagio sociale dell’America profonda e “bianca” e le prospettive delle minoranze, l’immigrazione. Molto meno la politica degli Stati Uniti nel mondo, che interessa soprattutto il mondo e vede i due contendenti su sponde opposte: più europea, anti-Putin e comprensiva del grido di dolore palestinese la posizione di Kamala. Più panamericana, meno ostile a Putin e molto vicina a Israele e al suo diritto all’esistenza così orribilmente violato dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, quella di Donald. Divide il destino dell’Ucraina, anche se entrambi dovranno chiarire come affrontare un’insidia maggiore che si chiama Cina.
Dunque, se la candidata Harris conta sul sostegno del pianeta politico, economico e della comunicazione che guarda ai democratici, e perciò non parte più da sfavorita, il candidato Trump punta sulla propria leadership per “rendere di nuovo grande l’America” -come dice il suo motto- e su due personalità che spera di aggiungere nella squadra: il ricco e intraprendente imprenditore Elon Musk (che ci starebbe) e il candidato indipendente Robert F. Kennedy Jr.
Ma in vista dei duelli in tv, Trump dovrà abituarsi ad argomentare, il terreno dove vuole portarlo Kamala, anziché ad attaccare la persona, dove il campione è lui.
L’incoronamento dell’establishment per la candidata democratica, che a sua volta è chiamata ad ammorbidire l’ideologismo di sinistra di cui si è sempre nutrita, non è solo il desiderio di opporre l’America della speranza quella della paura, come dicono i sostenitori di Kamala.
In gioco c’è l’incognita di quale Paese costruire, dall’economia alla sanità, dall’educazione alla sicurezza, ai rapporti con gli alleati per la prima potenza al mondo.
Comincia la partita, e si parte dallo 0 a 0.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova