Chi fa il magistrato, non fa un mestiere come gli altri. Intanto, per indossare la toga, deve aver prima compiuto buoni studi, poi superato un difficile concorso e alla fine svolto un lungo tirocinio.
Non ci si improvvisa né giudice né pubblico ministero -ché sono ruoli ben diversi- e non ci si veste di pubblica funzione per il solo gusto di sfilare sulle pagine di cronaca dei giornali: è una scelta, e che scelta, quella di servirsi di ampi poteri (compreso quello di togliere la libertà personale, che “è inviolabile”, come ricorda la Costituzione), con il solo e nobile intento di servire la Legge. Di nuovo ci viene incontro la Costituzione: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Perciò, per il rispetto un tempo sacro che la grande maggioranza dei cittadini nutre nei confronti della grande maggioranza dei magistrati, suona male la reazione da casta -comprensibile per taxisti e balneari, stonata per chi esercita la funzione giurisdizionale-, all’annuncio del ministro della Giustizia, e già magistrato, Carlo Nordio. L’annuncio dell’avvenuta approvazione da parte del governo del decreto legislativo che introduce, dal 2026, test psico-attitudinali per i magistrati, come già avviene in altri Paesi e nel nostro stesso per diverse e non meno “missionarie” categorie, come quelle delle forze dell’ordine e i militari. Carriere intraprese, anch’esse, perché, prima di tutto, ci si crede.
Si potrà dire al comunque intrepido Nordio -bersaglio di ogni accusa-, che forse non era questa l’esigenza più avvertita dagli italiani. I quali non sono nemmeno troppo esigenti: si accontenterebbero di una giustizia rapida, anziché borbonica, e della certezza della pena per chi sbaglia e a beneficio delle vittime, invece che dell’impunità e del buonismo imperanti in tutte le aule, parlamentari e giudiziarie.
Ma se la vita di chiunque di noi è un esame continuo, qual è il problema di un test per confermare che la giustizia è in buone mani, come già da tempo si conferma per le forze a difesa della nostra sicurezza?
La risposta più incisiva alla polemica non è la generale rivolta delle toghe, ma la controproposta di un singolo magistrato, il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri. Che ha suggerito al legislatore non già di respingere il test ma, al contrario, di ampliarlo, prevedendo anche i politici e tutti coloro che a livello istituzionale e amministrativo sono chiamati a prendere decisioni “in nome del popolo italiano”. Di più. Tra il serio e il faceto, Gratteri consiglia di introdurre pure un test per droga ed alcol: meglio assicurarsi che un onorevole sia sempre lucido prima di votare un provvedimento importante. E allora il test per il testo (di legge).
Buttiamola un po’ sul ridere, se poi si pensa, tornando seri, che sarà il Consiglio superiore della magistratura (non il governo, non l’opposizione), a gestire tutta la procedura dell’esame che non piace.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova