E’ una doppia “prima volta”: l’Onu ha votato per l’immediato cessate il fuoco a Gaza -e non era ancora accaduto- e gli Stati Uniti non si sono opposti a una risoluzione duramente contestata da Israele, perché il testo non condanna Hamas, cioè il movimento islamista che, con le stragi del 7 ottobre scorso nello Stato ebraico, ha scatenato la guerra in corso. Non era mai successo che l’America lasciasse al suo destino Israele, l’alleato storico a difesa del quale in precedenza aveva esercitato per ben tre volte il diritto di veto.
Ma Washington come giustifica l’astensione che ha consentito il via libera unanime, con 14 “sì”, al documento del Consiglio di sicurezza accolto con favore da tutti i Paesi, compreso il nostro? La giustifica col fatto che, oltre alla richiesta di fermare le armi durante il mese di Ramadan, si sollecita il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi.
Il governo di Benjamin Netanyahu reagisce con ira al “tradimento” americano, cancellando la visita di una sua delegazione a Washington e, soprattutto, affermando che non cesserà l’intervento militare “fino al ritorno degli ostaggi”. L’esatto contrario di quanto ora richiedono l’Unione europea e diversi governi, ossia il rispetto per la decisione delle Nazioni Unite. In pratica, che essa venga attuata, dopo 5 mesi di un conflitto che ha provocato migliaia di morti e feriti tra la popolazione palestinese, quasi due milioni di sfollati e condizioni drammatiche per tutti.
La caccia che Israele ha dato ai terroristi colpevoli del massacro del 7 ottobre e ai loro complici, una reazione di autodifesa che il mondo libero aveva compreso, s’è via via trasformata in un disastro umanitario anche per chi non aveva avuto nulla a che fare con il vile eccidio di Hamas. Da qui le crescenti richieste di molti governi -e dello stesso Papa Francesco- di una tregua capace di portare alla liberazione degli innocenti sequestrati da Hamas e di risparmiare le tragedie vissute dalla popolazione altrettanto innocente, ma colpita dalla guerra.
Tuttavia, il punto che fa infuriare Israele è che la risoluzione racconti solo una parte della verità, sorvolando sulle responsabilità di Hamas. Movimento che, invece, esulta per il testo che l’Onu ha approvato per evidenti e urgenti ragioni umane prima ancora che politiche: evitare che la popolazione di Gaza continui a pagare il prezzo terribile della guerra.
In teoria la decisione è vincolante. Ma il mondo è pieno di “risoluzioni dell’Onu” disattese. Né l’organizzazione ha gli strumenti, anche militari, per farle applicare. Di più, l’Onu è a sua volta ostaggio del diritto di veto dei cinque Paesi vincitori della seconda guerra mondiale. Un privilegio preistorico nell’universo che cambia, e in fretta.
Un privilegio che finisce per incidere in modo controverso anche sulle decisioni pur “risolutive”, come l’opposta reazione di Hamas ed Israele testimonia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova