Per ora di sicuro ci sono solo i numeri: 16 indagati dalla Procura di Perugia per aver avuto accesso a informazioni riservate su 121 personaggi di vari ambiti, dalla politica allo sport, dall’imprenditoria allo spettacolo.
L’accusa vuol veder chiaro soprattutto su due funzionari pubblici, il tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano e il magistrato Antonio Laudati, che per lungo tempo sono stati in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia. Dove, stando all’ipotesi dell’indagine, avrebbero utilizzato la banca dati per ottenere notizie e informazioni private su decine di cittadini, in particolare del mondo politico.
“Chiarirò tutto”, ribatte Laudati. Lo stesso assicurano gli altri indagati.
“Un fatto gravissimo, la libertà di stampa non c’entra”, insorge la presidente del Consiglio e con lei tutto il centrodestra, cioè la parte politica che sarebbe stata la più colpita dal presunto spionaggio.
Anche il ministro della Giustizia e già magistrato, Carlo Nordio, parla di “un fatto estremamente grave”, ma aggiunge che questa situazione non è una novità, essendosi, al contrario, “sedimentata da anni”. In sostanza, qui è in ballo il principio costituzionale del diritto alla riservatezza.
Il danno e la beffa, se si pensa quanto la burocrazia opprima gli italiani con richieste, spesso assurde, per “tutelare la privacy”, salvo poi scoprire che, ai più alti livelli, tale scrupolo apparirebbe inesistente.
Ma guai a confondere i piani, sembra ammonire il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Perché, in attesa degli accertamenti della Procura tutti ancora in corso, Mattarella ricorda un altro e non meno rilevante principio costituzionale: quello della libertà della stampa, “che è fondamentale”.
Dunque, anche questa “partita del dossieraggio” si gioca con la solita contrapposizione e lo scontato scambio di accuse fra destra e sinistra.
Ma pure dall’opposizione Elly Schlein parla di “scandalo”, di “schedature illegittime” e del dovere di “fare chiarezza”. A prescindere dal perché siano stati fatti accessi non autorizzati a dati importanti e sensibili, e dall’uso anche giornalistico che questa illegalità abbia prodotto, è evidente a tutti la differenza tra un regime e uno Stato di diritto.
Nel primo l’abuso e l’arbitrio sono tollerati e spesso incoraggiati per rafforzare il potere e colpire gli avversari. Nel secondo, il rigoroso rispetto della legge, in particolare da parte di chi è chiamato a compiti istituzionali, è il presupposto stesso del buon funzionamento della democrazia.
Dirà l’inchiesta della Procura. Ma intanto la vicenda è già velenosa di per sé, perché s’inserisce in mezzo a una campagna elettorale, che è regionale col voto imminente in Abruzzo ed europea con quello in arrivo a giugno.
E poi s’incastra nel preoccupante scacchiere internazionale di due guerre in corso e degli attacchi ad opera degli houthi nel Mar Rosso.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova