Quando una maratona di 5 giorni per un totale di quasi 30 ore televisive raccoglie nella serata finale il 74,1% di ascolto dell’intero pubblico seduto in quel momento davanti allo schermo, cioè più di 14 milioni di telespettatori, il quesito da porre non è più se il 74esimo festival della canzone italiana sia stato bello o brutto. Ma perché abbia avuto un tale successo.
Forse i principali ingredienti sono tre: un bravo presentatore come Amadeus, mai sopra le righe. Il miglior “mattatore” sulla scena, che risponde al cognome di Fiorello. E la capacità che Sanremo ha dimostrato ancora una volta, però mai come questa volta, di saper coniugare, pur in un saliscendi di momenti memorabili o, al contrario, da dimenticare, il meglio della musica italiana in circolazione con la vita della società che cambia. Non solo un “festival”, dunque, ma un carosello tra il serio e il faceto, condito dall’eccellenza d’Italia in ogni campo.
Dal “Va, pensiero” di Verdi interpretato dal coro della Fondazione Arena di Verona all’universale Roberto Bolle, che danza il “Bolero” di Ravel. Dalle farfalle Azzurre, che da ginnaste d’oro piroettano sul palco anche per testimoniare il loro impegno contro la violenza sulle donne, ai campioni del mondo Pecco Bagnaia nel motociclismo e Federica Brignone nello sci. Dall’arguto e divertente monologo di Teresa Mannino alla commovente riflessione di storia patria nell’anniversario della tragedia delle foibe. Dalla Banda dell’Esercito, che ci ricorda chi siamo con l’inno nazionale, al ballo del qua qua con un John Travolta travolto dalle polemiche.
L’allegro e il profondo, come si conviene all’appuntamento più importante della canzone italiana, che ha visto il trionfo di una ragazza figlia d’arte, di mamma e papà, la ventiduenne Angelina Mango con “La noia”. Come il primo Sanremo nel 1951, quando fu un’altra donna, Nilla Pizzi, a vincere con “Grazie dei fiori”. Ma lei di anni ne aveva 32.
E non cadiamo nel grottesco: nessun italiano degno può avercela con la melodia napoletana, che è il ponte meraviglioso tra l’opera lirica e la canzone leggera di ieri e di oggi. Ma del pur talentuoso e ventitreenne Geolier, arrivato peraltro secondo -e primo nella serata dedicata alle grandi canzoni del passato-, si potrà pur dire che non tutti hanno capito il suo rap in dialetto. Semplicemente.
E poi che bello non aver assistito ad alcun pistolotto politico. Semmai a una politica autentica, come l’ascoltato punto di vista degli agricoltori che protestano col trattore. Posto che le frasi in libertà degli artisti sono tradizione: ciascuno è a sua volta libero di condividerle o contestarle.
Che bello, infine, vedere questi ragazzi cantare e poi correre ad abbracciare i genitori in platea.
In fondo l’Italia è una grande famiglia. E Sanremo 2024 questo rispecchia e tramanda all’anno prossimo tra fiori, applausi e lacrime amare oppure di felicità. Tramanda la musica della vita.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova