Non è la prima volta che Papa Francesco evoca la “terza guerra mondiale a pezzi” in pieno e catastrofico corso. Ma stavolta il pontefice, tanto finora inascoltato quanto fermo nel ripetere una, due, cento volte il suo grido di dolore, associa il denunciato evento a un “vero e proprio conflitto globale”. E nell’udienza al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, cita il radiomessaggio rivolto alla vigilia del Natale del 1944 “ai popoli del mondo libero” da un suo predecessore, Pio XII, quando esortava a fare di questo “universale sconvolgimento” -la seconda guerra mondiale era al quinto anno-, “il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo”.
E’ chiaro quale sia l’intento di Francesco, che va alla guerra per sradicarla: quel “rinnovamento profondo” di cui oggi, come nel 1944, l’umanità ha bisogno, è riassunto nella parola “pace”. Che in realtà è l’antidoto più forte al conflitto permanente, come proprio l’Europa, vissuta per secoli all’insegna degli scontri e teatro di ben due guerre mondiali, sta pur testimoniando da 79 anni di pacifica convivenza. Financo di integrazione e amicizia nell’Ue fra nazioni e popoli che si sono a lungo odiati e sparati.
Dunque, cambiare non solo si deve, ma si può. Non è facile retorica, non è appello impotente, non è vivere fuori dal mondo reale pretendere che i sordi aggressori di oggi, così come i nemici di sempre, ma non per sempre, depongano le armi e trovino una soluzione giusta a tutti i loro problemi.
Ma il punto è che non tocca certo al Papa parlare con Putin, l’invasore dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022. O intercedere nella polveriera del Medio Oriente riaccesa con la strage di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023. Sangue chiama sangue ed è la politica col suo braccio diplomatico, economico e militare a doversi mobilitare per far rinsavire chi ha perso il lume della ragione e pratica solo violenza.
Intendiamoci, torti e ragioni non si compensano. Impossibile mettere sullo stesso piano Putin e Zelensky o i terroristi d’ispirazione islamica, che vogliono far sparire Israele dalle cartine geografiche, con la democrazia occidentale di quel Paese ferito e in guerra per difendere il diritto alla propria esistenza messa in concreta e sanguinosa discussione.
Tuttavia, senza mai dimenticare il perché delle guerre in corso, e chi sono i veri colpevoli che le hanno provocate, è doveroso adoperarsi almeno per fermare la strage degli innocenti, cioè per salvaguardare al più presto le popolazioni civili vittime delle guerre, qualunque sia la loro nazionalità o responsabilità di chi li governa. C’è un’umanità indifesa (bambini, donne, anziani) che esige l’intervento di tutte le istituzioni, dall’Onu all’Ue.
“Rinnovamento profondo” non significa equidistanza fra le parti in conflitto, ma riscoprire che il grido d’aiuto dell’umanità sofferente rimbomba più forte dei missili e delle esplosioni.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova