In politica la parità non è come nel calcio, dove entrambe le squadre in campo possono consolarsi all’insegna del comune “non abbiamo perso”.
L’esito del 25 a 25 nel Consiglio regionale veneto, oltre che affossare la legge sul fine vita (anche se tecnicamente il testo torna in commissione per essere ripensato, come si dice in questi casi pietosi per nascondere l’imbarazzo), in realtà ha spaccato una delle due formazioni in partita -il centrodestra-, decretando un autogol al novantesimo nella porta di Luca Zaia, il governatore e grande sostenitore del provvedimento.
Il Veneto sarebbe stata la prima regione d’Italia ad approvare la proposta di legge di iniziativa popolare per consentire alle aziende sanitarie di regolare con modi e tempi più efficaci -comunque non oltre i venti giorni-, il cosiddetto suicidio medicalmente assistito già garantito da una sentenza della Corte Costituzionale.
Invece, l’interminabile giornata del Consiglio si chiude con la parità e un perdente, Luca Zaia. Si chiude con Fratelli d’Italia e Forza Italia determinanti per il “no, grazie”, che include anche una Lega divisa sul punto.
Intendiamoci, dividersi su un tema di squisita natura etica, non solo non è uno scandalo, ma è quasi un dovere: la coscienza dei consiglieri viene prima di qualunque ordine di partito. E, peraltro, su questioni così profonde e rilevanti, i partiti si guardano bene da darli, gli ordini. Anche se sul fine vita il fronte progressista appare da sempre più omogeneo e compatto di quello liberal-conservatore-leghista. Il risultato nel Veneto ne è solo l’ultima e plateale testimonianza.
Se, dunque, ha poco senso cercare di “interpretare” il contenuto della legge bocciata, posto che non si presta alle bandiere ideologiche e gli stessi cittadini hanno opinioni molto diverse sul fine vita a prescindere dai loro schieramenti di riferimento, si può, invece, già valutare l’effetto politico della parità che sconfigge il presidente della Regione: suona come un segnale di scontento e di non allineamento di una parte cospicua del centrodestra alle battaglie di Zaia. Delle quali l’“io vorrei poter scegliere” da lui espresso con chiarezza sul fine vita, rappresenta un esempio.
L’altro e più sfumato atto di dissenso, si gioca a livello nazionale, dove il Parlamento non pare orientato -anche per il secondo “no, grazie” di Fdi e Forza Italia- a introdurre la possibilità di un terzo mandato ai governatori. Il solo che potrebbe consentire a Zaia di candidarsi per la quarta volta.
Il combinato disposto della bocciatura in Consiglio e del terzo mandato che non procede in Parlamento ha le sembianze di una clava politica per il governatore. Che sul fine vita appariva progressista agli occhi dei progressisti. E sul quarto mandato conservatore agli occhi dei conservatori. Due aspetti che, con ogni evidenza, non sembrano troppo graditi a tutto il fronte del centrodestra che nel governatore si riconosce.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova