Non è un presidenzialismo all’americana né un semipresidenzialismo alla francese. Il testo di modifica costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri prefigura un premierato all’italiana unico al mondo. Altrove non esiste l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Il solo esperimento in Israele è durato appena due elezioni (1996 e 1999) e fu poi abrogato.
Ma nella speranza di raccogliere consensi anche fra le opposizioni, e per non creare conflitti autolesionisti col Quirinale, la maggioranza ha preferito virare dal presidenzialismo al premierato con poteri invariati. Dunque, un compromesso per cambiare molto, lasciando le cose come stanno: anche gli attuali poteri del presidente della Repubblica non si toccano. Si delimitano. Il futuro presidente del Consiglio sarà eletto dagli italiani e non più scelto dal capo dello Stato, chiamato a dar seguito alla volontà popolare. Ma non privato di tutte le sue altre e alte prerogative (fuorché l’abolita possibilità di nominare 5 senatori a vita).
Prevista un’opportuna, ma pasticciata norma anti-ribaltone. Nell’intento di non assistere più allo spettacolo indecoroso di cambio di casacche e coalizioni con eletti di qua che finiscono di là in barba al volere di chi li ha votati, si prevede un meccanismo anche qui di compromesso.
Se il capo del governo cade, può essere sostituito con voto del Parlamento, ma solo una volta. E col vincolo del programma: purché il successore e parlamentare (finisce l’era dei “tecnici” a Palazzo Chigi), s’impegni nell’indirizzo politico espresso dalla maggioranza degli italiani. Altrimenti si torna alle urne.
Per evitare, infine, il rischio della coabitazione impossibile si prospetta il voto contestuale in un’unica scheda per Palazzo Chigi e per il Parlamento. Perciò occorrerà un’ulteriore riforma elettorale in appoggio a questa “madre di tutte le riforme”, come Giorgia Meloni ha definito l’inedito premierato popolare. Dovrà assicurare una soglia minima del 55% dei seggi (il principio del premio di maggioranza viene scolpito anche in Costituzione) alle liste collegate col presidente del Consiglio eletto. Qualcosa di simile all’elezione del sindaco, che si trascina la sua maggioranza in Consiglio comunale per evitare l’ingovernabilità.
Contro la quale (“68 governi in 75 anni di Repubblica”, ha ricordato la Meloni), salpa questo testo per una lunga navigazione fra consensi e polemiche. La principale: un primo ministro eletto dai cittadini indebolisce il ruolo di un presidente della Repubblica eletto dai legislatori.
Il nuovo premierato fa da contrappeso alla riforma, anch’essa in difficile cammino, sull’autonomia differenziata per le regioni. Ma almeno un ostacolo non c’è: il premierato è gratis, ossia non comporta le notevoli risorse, ancora da trovare, per i livelli essenziali di prestazioni su tutto il territorio nazionale, come esige l’autonomia.
E comunque la madre di tutte le riforme andrà incontro al voto dei suoi figli, perché saranno gli italiani a dire l’ultima parola col referendum confermativo, visto che per ora dall’opposizione solo Matteo Renzi condivide l’iniziativa del centrodestra.
Senza il voto dei due terzi delle Camere, saranno i cittadini a decidere se decidere chi sarà il capo del governo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova