Può sembrare una follia, temere che il peggio in Medio Oriente debba ancora arrivare, dopo che Hamas ha decapitato persino bambini nella strage degli innocenti, il 7 ottobre scorso: si può forse immaginare qualcosa di più orribile?
Purtroppo il mondo è costretto a farlo, ora che Israele, nella caccia agli assassini dei suoi figli, ha inaugurato la soprannominata nuova fase, cioè l’ingresso di soldati e carri armati a Gaza per colpire i responsabili delle mostruosità commesse dai terroristi di ispirazione islamica nello Stato ebraico. E per cercare di liberare i 229 ostaggi privi di qualsivoglia colpa. Se non quella, agli occhi insanguinati dei terroristi, di essere ebrei. E forse oggetto di trattativa: liberi tutti -dice Hamas- in cambio di tutti i detenuti palestinesi.
“Distruggeremo Hamas, Israele combatte per l’umanità”, annuncia il premier, Benjamin Netanyahu. Che avverte: sarà una guerra dura e lunga.
E’ evidente che quanto più il conflitto scatenato dall’antisemitismo di Hamas si espanderà, tanto maggiore sarà il pericolo -anzi, la realtà già vista- che ai bambini israeliani ammazzati si aggiungeranno gli altrettanto innocenti bambini palestinesi uccisi. Drammatici “effetti collaterali”, come si dice con ributtante cinismo in questi casi?
Effetti di sicuro non voluti da Israele, Paese democratico e sotto assedio che fa il possibile, a differenza di Hamas a parti invertite, per non colpire gli innocenti dell’altra parte. Anche con gli appelli ai palestinesi ad abbandonare il nord della Striscia.
Ma quando una così imponente operazione militare comincia anche da terra, e non più solo dal cielo e dal mare dov’era già in pesante corso, nessuno sa quanta gente che non c’entra coi terroristi di Hamas finirà vittima degli scontri. Non esistono “guerre chirurgiche” capaci di separare il male dal bene, Hamas dal popolo palestinese, gli artefici del massacro in Israele dagli incolpevoli palestinesi, donne, bambini o civili adulti.
Siamo nell’ora più buia anche per una diplomazia internazionale e una strategia politica sia occidentale, sia araba che, per ragioni e con obiettivi diversi, non si stanno dimostrando all’altezza della grave situazione. A partire dall’Unione europea, l’istituzione più interessata a spegnere l’incendio prima che divampi. Ma che ben poco riesce a combinare, se non a polemizzare (succede anche in Italia) su quale testo approvare o no nella risoluzione dell’Onu. O quali slogan urlare nelle manifestazioni italiane pro Palestina. Che si moltiplicano in tutto il continente, a fronte del nessun corteo pro Israele di cui si abbia avuto notizia all’indomani della decapitazione dei bambini ebrei.
Siamo, dunque, davanti alla più drammatica crisi geopolitica degli ultimi decenni. Per gli israeliani un secondo Olocausto, per i palestinesi senza patria e senza pace la fine di un sogno, per il mondo l’inizio di un incubo dagli imprevedibili risvolti.
Che almeno Dio ci aiuti, visto che dagli uomini e da terroristi che uomini non sono, abbiamo, almeno finora, ben poco in cui sperare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova