Fino a quando s’abuserà della pazienza dei cittadini, che assistono all’impunità permanente a beneficio perfino di persone già condannate o con gravi e accertati precedenti di violenza?
L’ultimo caso che ha sollevato tale sconcerto da indurre il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a denunciare lui stesso il “fatto gravissimo” e a chiedere al capo della Polizia “se qualcosa non ha funzionato”, riguarda una donna di 61 anni, morta in ospedale dopo l’aggressione subita in un parco vicino al centro storico di Rovereto mentre tornava a casa, sabato scorso alle 22.30, da parte di un uomo “già noto alle forze dell’ordine”, come riferiscono le cronache.
Infatti il quarantenne e presunto omicida, straniero e senza fissa dimora che avrebbe tentato di violentarla prima di colpirla con ferocia, fuggito ma poco dopo arrestato con l’uso del taser per il suo stato alterato, già l’anno scorso aveva terrorizzato e tentato di colpire ignari passanti con una bottiglia rotta. E aveva pure precedenti per lesioni e danneggiamenti.
Perché si è ritenuto che uno così non fosse pericoloso, avendo già dato non una, ma tre volte prova di grave violenza contro persone e cose?
Oltre al danno pure la beffa nel penultimo caso di cronaca, stavolta a Monza, dove una donna di 32 anni di origine bosniaca, ricercata perché doveva scontare una condanna di 9 anni di carcere per reati contro il patrimonio e la persona, e ritrovata la notte di giovedì in un albergo, potrà continuare la sua florida attività di furti e scippi in quantità commessi fin dal 2004, oltre a violazioni in materia di armi e immigrazione: la signora è incinta per la decima volta e in cella non può andare. Del tutto ridicola l’unica misura finora presa dal questore di Milano, il divieto d’accesso a metropolitane e stazioni: la borseggiatrice e mamma se ne infischia.
Con ogni evidenza il sistema giuridico e legislativo della “certezza della pena”, sistema -sia chiaro- indulgente sia con stranieri che con italiani (l’impunità è uguale per tutti), non funziona da troppo tempo. Neppure sui recidivi, che tutto possono essere, fuorché presunti innocenti.
Un Paese che rinuncia a punire il male quando esso è accertato dalle istituzioni preposte, cioè che non riesce ad applicare le pene per reati pur stabiliti dall’ordinamento, finisce per “far male” solo alle vittime.
E all’intera società, che non può accettare “l’ingiustizia ingiusta”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi